Illegittima l’irrogazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle entrate nei confronti delle società che non hanno regolarizzato la fattura, attraverso la riqualificazione fiscale dell’operazione. L’obbligo di regolarizzare l’operazione imponibile posta in essere dal cedente o dal prestatore riguarda solo la verifica della regolarità formale non esige anche il controllo sostanziale della corretta qualificazione fiscale dell’operazione, salva l’ipotesi di reverse charge.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 14650 del 25 maggio 2023, con cui ha accolto il ricorso delle società contribuenti.
L’Agenzia delle entrate riteneva assoggettabili ad Iva le prestazioni di consulenza fornite dalla srl in favore delle due società ricorrenti, qualificate come attività di intermediazione dall’emittente le fatture, sanzionando così il comportamento di omessa regolarizzazione di fatture imponibili tenuto dalle società contribuenti. Tuttavia, sbaglia la Ctr a ritenere che le società ricorrenti avrebbero dovuto procedere alla regolarizzazione delle fatture emesse dalla srl per attività di intermediazione e non già di consulenza, senza limitarsi ad un controllo meramente formale delle fatture.
L’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 471/97 – secondo cui il cessionario di un bene o il committente di un servizio è tenuto a «regolarizzare» l’operazione imponibile posta in essere dal cedente o dal prestatore senza emissione di fattura o con fattura irregolare – implica il solo obbligo di verificarne la regolarità formale e non esige invece il controllo sostanziale della corretta qualificazione fiscale dell’operazione (cfr. Cass. 26183/2014 e 14275/2020). L’unica deroga riguarda l’ipotesi di inversione contabile (cfr. Cass. 12138/2022).
Nel caso in esame, dunque, in cui non trova applicazione il regime del reverse charge, le contribuenti, indipendentemente dalla specifica conoscenza che abbiano avuto della natura del rapporto intercorso con la srl, non avevano l’obbligo di procedere alla regolarizzazione delle fatture emesse da quest’ultima, riqualificando giuridicamente il rapporto come attività di consulenza al posto di attività di intermediazione (qualifica indicata dalla società emittente), sicché le ricorrenti non sarebbero potute essere sanzionate.
La Suprema corte ha così cassato la sentenza impugnata e deciso nel merito con accoglimento dei ricorsi originari delle società ricorrenti.