Illegittimo l’accertamento sui compensi del professionista: la tassazione segue il principio di cassa

La tassazione del compenso del professionista segue il principio di cassa: di conseguenza per la determinazione del reddito da lavoro autonomo ai fini Irpef, conta l’anno di effettiva riscossione e non a quello di emissione della fattura. Lo stesso vale per l’Iva sulle prestazioni di servizi.

Lo ha ricordato la Cassazione con la sentenza 11339 del 2 maggio 2023 con cui ha accolto il ricorso di un geometra.
La vicenda riguardava l’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate recuperava maggiore Irpef, Irap e Iva in relazione alla fatturazione delle prestazioni professioni effettuate dal geometra. In particolare per l’ufficio, il contribuente non aveva emesso le fatture per tutte le prestazioni effettuate nell’anno d’imposta accertato, o comunque queste erano state sottofatturate rispetto ai valori medi di tariffa professionale.

Tuttavia, ai fini Irpef e Irap, ed anche Iva, i compensi contestati erano stati regolarmente fatturati all’atto del pagamento. Dunque, l’incasso dei compensi inerenti ai contestati incarichi – quand’anche solo in parte – era effettivamente avvenuto in un anno diverso da quello accertato.

In materia d’imposte sui redditi, i redditi da lavoro autonomo vanno dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza.
Di conseguenza, l’importo delle fatture emesse dal professionista, ove sia comprovato che l’incasso dei compensi professionali è avvenuto in un anno d’imposta successivo a quello di emissione delle fatture, concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo ai fini Irpef con riguardo all’anno di effettiva riscossione e non già con riguardo a quello di emissione. Quanto all’Iva, poi, le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo (cfr. Cass. 24996/2022 e 20190/2022).

Del resto le regole sull’imputazione temporale dei componenti positivi o negativi, dettate dal d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza (cfr. Cass. 23521/2020 e 16349/2014).

Irap non dovuta per il professionista che svolge attività diversa da quella della società di cui è socio

Non è dovuta l’Irap a carico del professionista (nel caso di specie medico) sulle attività diverse da quelle dello studio o della società di cui è socio. Non può avvalersi di una struttura che svolge un lavoro diverso, nel caso di specie diagnostico mentre il medico era specializzato in medicina del lavoro.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con ordinanza 21357 del 6 luglio 2022, ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate che aveva chiesto il pagamento dell’Irap a un medico legale socio e amministratore di un poliambulatorio.


Confermata dunque la pronuncia della Ctr che aveva accolto l’appello del contribuente. Secondo i giudici di appello, infatti, l’attività della società (di cui il contribuente era socio al 33% nonché legale rappresentante) e quella del contribuente erano differenti in quanto mentre il contribuente svolge attività di medico del lavoro e in tale sua qualità si reca nei luoghi di lavoro ad effettuare le visite senza usufruire
delle strutture del suddetto Centro mentre il Centro svolge attività di prevenzione, informazione, formazione degli addetti responsabili delle singole aziende e, in quanto poliambulatorio autorizzato, esami di laboratorio e diagnostica, cosicché appare corretto l’assunto che la corresponsione di compensi da parte della società al contribuente depone per l’assenza di autonoma organizzazione.


A sostegno della decisione la Cassazione ricordato che in tema di Irap, il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive (cfr. da ultimo Cass. 9071/2021 e 28329/2021).


Nel caso di specie era emerso che l’attività svolta dal medico era diversa da quella svolta dal centro diagnostico per cui appare corretto l’assunto che la corresponsione di compensi da parte della società al contribuente depone per l’assenza di autonoma organizzazione giacché, se il contribuente si avvalesse delle strutture della società per l’esercizio della professione medica, dovrebbe egli corrispondere somme e non riceverle in pagamento.


Infine la disponibilità di uno studio professionale per lo svolgimento dell’attività non costituiva indice di una autonoma organizzazione perché tale studio è riferibile a un soggetto terzo e da quest’ultimo organizzato: di conseguenza il contribuente non era, sotto qualsiasi forma, il responsabile di una organizzazione essendo invece inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità.