Assegno di inclusione con avvio di attività d’impresa o di lavoro autonomo

L’assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro saranno compatibili, entro il limite massimo annuo di 3.000 euro lordi, con l’avvio, da parte di uno o più componenti della famiglia, di un’attività di lavoro dipendente, dell’attività di impresa o di lavoro autonomo, nonché con la partecipazione a percorsi di politica attiva del lavoro indennizzati.
Lo prevedono gli artt. 3 commi da 5 a 7 e l’art. 12 comma 10 del DL 48/2023 che, in vista dell’abrogazione del reddito di cittadinanza a partire dal prossimo anno, introducono nuovi strumenti di sostegno alla povertà e di politica attiva.

Per le famiglie aventi diritto (con almeno un componente disabile, minorenne o con almeno 60 anni, al ricorrere di specifici requisiti), l’assegno di inclusione integrerà il reddito familiare fino alla soglia di 6.000 euro annui (elevata a 7.560 per alcuni nuclei familiari) da moltiplicare per il corrispondente parametro della scala di equivalenza; fermo restando che le istruzioni relative al calcolo verranno fornite dall’INPS con un’apposita circolare, l’assegno spettante, ad esempio, a un nucleo composto da un adulto e un minore, con un reddito familiare pari a zero e un parametro della scala di equivalenza pari a 1,15, dovrebbe ammontare a 575 euro.

Il supporto per la formazione e il lavoro previsto per i soggetti occupabili comporta invece l’erogazione da parte dell’INPS di un importo pari a 350 euro a titolo di indennità di partecipazione ai programmi formativi e ai progetti utili alla collettività, per tutta la loro durata e, comunque, per un periodo massimo di 12 mesi.

Gli importi delle prestazioni in esame non saranno però intaccati, entro il limite di 3.000 euro annui lordi, dall’avvio di attività di lavoro dipendente, di impresa o di lavoro autonomo, nonché dalla partecipazione a percorsi di politica attiva del lavoro indennizzati.
Infatti, a fronte dell’avvio di un’attività di lavoro dipendente, il maggior reddito di lavoro percepito non concorrerà alla determinazione del beneficio entro il limite massimo di 3.000 euro e all’INPS si dovranno comunicare solo i redditi oltre tale limite, con riferimento alla soglia eccedente. L’avvio dell’attività verrà desunta dalle comunicazioni obbligatorie, fermo restando che il reddito derivante dovrà essere comunque comunicato dal lavoratore all’INPS entro 30 giorni dall’avvio della medesima, pena la sospensione del beneficio o la decadenza dallo stesso dopo 3 mesi di inadempienza.

L’avvio di un’attività d’impresa o di lavoro autonomo, svolta sia in forma individuale che di partecipazione, da parte di uno o più componenti il nucleo familiare deve essere comunicato all’INPS entro il giorno prima dell’inizio della stessa, pena la decadenza dal beneficio. Il reddito, individuato secondo il principio di cassa, dovrà essere comunicato entro il 15° giorno successivo al termine di ciascun trimestre dell’anno e sarà possibile continuare a percepire il beneficio senza variazioni per le 2 mensilità successive a quella della variazione della condizione occupazionale. Anche in questo caso, il reddito concorrerà per la parte eccedente 3.000 euro lordi annui.

Inoltre, ai beneficiari dell’assegno di inclusione che avviano un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione del beneficio, l’art. 10 comma 6 del DL 48/2023 riconosce, in un’unica soluzione, un beneficio addizionale pari a 6 mensilità dell’assegno, nei limiti di 500 euro mensili (le cui modalità di richiesta e di erogazione saranno stabilite con apposito decreto del Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze e il Ministro delle Imprese e del made in Italy). Tale beneficio dovrebbe spettare anche in favore dei beneficiari del supporto per la formazione e il lavoro (in base alla previsione contenuta nel comma 10 dell’art. 12).

In assenza di un’espressa previsione contraria, il beneficio addizionale di 6 mensilità sembrerebbe poi compatibile anche con la possibilità data al beneficiario di fruire, senza variazioni, dell’assegno di inclusione per le due mensilità successive a quella di variazione della condizione occupazionale.
Tale possibilità non era invece prevista per i beneficiari del reddito di cittadinanza che avviano un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale. L’art. 3 comma 9 del DL 4/2019 prevede espressamente la non compatibilità tra l’incentivo ex art. 8 comma 4 del DL 4/2019 (6 mensilità del Rdc in caso di avvio attività entro i primi 12 mesi di fruizione del beneficio) e la possibilità di fruire, senza variazioni, del Rdc per le due mensilità successive a quella di variazione della condizione occupazionale.

La medesima compatibilità è infine prevista in caso di partecipazione a percorsi di politica attiva del lavoro che prevedano indennità o benefici di partecipazione comunque denominati o l’accettazione di offerte di lavoro anche di durata inferiore a un mese.

Soglia di 3.000 euro dei fringe benefit con figli fiscalmente a carico

L’art. 40 del DL 48/2023 (c.d. DL “Lavoro”), pubblicato sulla G.U. n. 103 del 4 maggio 2023, ha previsto l’incremento, per il 2023, della soglia di non imponibilità dei fringe benefit a 3.000 euro per i soli lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico, restando invece ferma a 258,23 euro per tutti gli altri dipendenti.

Rispetto alla prima versione della bozza circolata (si veda “Per il 2023 soglia dei fringe benefit a 3.000 euro ma solo con figli a carico” del 3 maggio 2023), la disposizione è stata integrata, individuando tra l’altro più nel dettaglio quelli che inizialmente erano stati definiti genericamente come “figli a carico”.

Il comma 1 dell’art. 40 del DL dispone che “Limitatamente al periodo d’imposta 2023, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo” del TUIR “non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di euro 3.000, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del citato testo unico delle imposte sui redditi, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. I datori di lavoro provvedono all’attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti”.

Ai fini della disposizione in esame rilevano quindi i dipendenti con figli – compresi i figli nati fuori dal matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati – fiscalmente a carico ai sensi dell’art. 12 comma 2 del TUIR.
In base a tale disposizione, i figli sono considerati fiscalmente a carico se non superano i 24 anni di età e se hanno percepito nell’anno un reddito pari o inferiore a 4.000 euro; se superano i 24 anni sono considerati a carico se hanno percepito un reddito complessivo annuo non superiore a 2.840,51 euro.

In relazione all’applicazione del limite reddituale di 4.000 euro previsto per i figli a carico di età non superiore a 24 anni, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “il requisito anagrafico deve ritenersi sussistere per l’intero anno in cui il figlio raggiunge il limite di età, a prescindere dal giorno e dal mese in cui ciò accade” (risposta a Telefisco 2018). Pertanto, se nel 2023 i figli compiono i 24 anni, la soglia di reddito a cui fare riferimento per verificare lo status di figlio fiscalmente a carico è di 4.000 euro, a prescindere dal giorno e dal mese del compleanno.
Il suddetto limite di 2.840,51 o 4.000 euro è riferito all’intero periodo d’imposta (anno solare), indipendentemente dal periodo in cui viene prodotto. Pertanto, se al termine del periodo d’imposta (2023, ai fini in esame) si è superato il limite, non si è fiscalmente a carico, neppure per la parte dell’anno in cui il familiare era privo di redditi.

In linea generale, non rileva comunque la circostanza che i figli convivano con i genitori (il figlio a carico può anche risiedere all’estero), né che siano dediti o meno agli studi o a tirocinio gratuito.

Quanto all’ambito oggettivo di applicazione della norma, rientrano nella soglia di 3.000 euro il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

Il comma 2 dell’art. 40 del DL dispone inoltre che resta ferma l’applicazione dell’art. 51 comma 3 del TUIR, in relazione ai beni ceduti e ai servizi prestati a favore dei lavoratori dipendenti per i quali non ricorrono le condizioni indicate nel comma 1.
Pertanto, per i lavoratori dipendenti senza figli a carico resta ferma l’ordinaria soglia di 258,23 euro.

DICHIARAZIONE CON IL CODICE FISCALE DEI FIGLI

L’applicazione della soglia di 3.000 euro per i dipendenti con figli fiscalmente a carico non è automatica.
A norma del comma 3 dell’art. 40 del DL 48/2023, infatti, “Il limite di cui al comma 1 si applica se il lavoratore dipendente dichiara al datore di lavoro di avervi diritto indicando il codice fiscale dei figli”.
Di conseguenza, il lavoratore dipendente dovrà fornire al datore di lavoro un’autodichiarazione in cui attesti di avere diritto a fruire della soglia di 3.000 euro per il 2023, indicando il codice fiscale dei figli fiscalmente a carico.

Un aspetto che andrebbe chiarito riguarda il caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico.
Stando alla citata disposizione, che non prevede particolari limitazioni e fa riferimento in generale al lavoratore dipendente, la soglia di 3.000 euro sembrerebbe applicabile, per intero, distintamente per ciascun genitore. La soluzione però appare di dubbia coerenza sistematica perché creerebbe una doppia agevolazione per il solo fatto che entrambi i genitori sono lavoratori dipendenti.