Tassazione cripto-attività: la disciplina dei Paesi UE ed extra-UE

L’impostazione data dal Legislatore italiano nella legge di bilancio per l’anno 2023

La nuova disciplina introduce alla lettera c-quinquies del comma 1, dell’articolo 67 TUIR, tra i redditi diversi, una nuova fattispecie impositiva che ricomprende le plusvalenze e gli altri proventi, se di importo superiore ad euro 2.000 per ogni periodo d’imposta, realizzati tramite il rimborso, la cessione a titolo oneroso, la permuta o la detenzione di cripto-attività. Affinché la permuta, tra cripto-attività, abbia rilievo da un punto di vista fiscale è necessario che le stesse siano di specie diversa, rimanendo neutra (non imponibile) da un punto di vista fiscale la permuta tra cripto-attività definite “eguali”. A mente di quanto contenuto nella relazione illustrativa, per cripto-attività “eguali” si debbono intendere quelle che assolvono alle medesime funzioni e hanno le medesime caratteristiche.

Le plusvalenze generate dalle nuove fattispecie impositive saranno soggette ad imposta sulla differenza tra il corrispettivo percepito ovvero il valore normale delle cripto-attività e il loro costo o valore di acquisto. Le plusvalenze così determinate potranno essere sommate algebricamente alle eventuali relative minusvalenze e, se le minusvalenze sono superiori alle plusvalenze – di un importo eccedente euro 2.000 – l’eccedenza potrà essere riportata in deduzione, per l’intero ammontare, nei periodi d’imposta successivi e comunque non oltre il quarto.

Le plusvalenze e gli altri proventi imponibili derivanti dal rimborso, dalla cessione a titolo oneroso, dalla permuta o dalla detenzione di cripto-attività saranno assoggettate ad un’imposta sostitutiva del 26%.

Relativamente al pagamento delle imposte concernenti le plusvalenze, la norma ha introdotto la facoltà, per i possessori di cripto-attività in deposito presso intermediari finanziari residenti, di optare, in alternativa all’ordinario regime dichiarativo, per il regime del c.d. risparmio amministrato o per il regime del c.d. risparmio gestito.

L’opzione per il regime del c.d. risparmio amministrato è stata, inoltre, estesa anche ai casi di cripto-attività in deposito presso gli operatori non finanziari di cui alle lett. i) e i-bis) del comma 5 dell’art. 3 del d.Lgs. n. 231/2007 (prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di portafoglio digitale).

La norma ha esteso, altresì, la disciplina del monitoraggio fiscale a carico degli intermediari finanziari anche ai prestatori di servizi di portafoglio digitale e ha introdotto l’obbligo di compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi, per i contribuenti che possiedono o detengono cripto-attività.

In tema di regolarizzazione la norma permette, ai soggetti che non hanno indicato nel quadro RW della propria dichiarazione dei redditi la detenzione di cripto-attività entro il 31 dicembre 2021, di regolarizzare la propria posizione in relazione ad una o più annualità:

  • nel caso in cui il contribuente non abbia realizzato redditi nel periodo d’imposta, la posizione fiscale potrà essere regolarizzata presentando la menzionata istanza (di cui all’emanando provvedimento dell’Agenzia delle Entrate) e versando la sanzione per mancata compilazione del quadro RW nella misura ridotta dello 0,5% – per ciascun anno – sul valore delle attività non dichiarate;
  • nel caso in cui il contribuente abbia, viceversa, realizzato redditi nel periodo d’imposta, dovrà presentare l’istanza e versare un’imposta sostitutiva nella misura del 3,5% del valore delle cripto-attività detenute al termine di ogni anno o al momento del realizzo, nonché un’ulteriore somma pari allo 0,5 per cento per ciascun anno del predetto valore a titolo di sanzioni ed interessi.

Cenni e comparazioni relativamente alla normativa in vigore in altri Paesi (Germania, Francia, Regno Unito e USA)

Il Legislatore italiano si è accodato agli sforzi fatti da altri ordinamenti finalizzati all’introduzione di una normativa organica per la tassazione dei redditi prodotti attraverso operazioni (di vendita, scambio, mining, staking) aventi ad oggetto cripto-attività.

In particolare, è interessante esaminare e comparare, evidenziando i tratti strutturali, le normative in vigore in FranciaGermaniaRegno Unito e Stati Uniti.

Alcuni Stati hanno approvato normative ad hoc mentre, in altri casi, la regolamentazione ha trovato la propria fonte normativa in provvedimenti di prassi che fanno riferimento alla normativa fiscale già in vigore.

La Francia ha optato per l’approvazione di un regime ad hoc dal 2018, Germania e Stati Uniti riconducono le cripto-attività alla nozione di bene mentre nel Regno Unito vengono considerate attività finanziarie.

Il presupposto imponibile maggiormente ricorrente è lo “scambio” di cripto-asset effettuato a fronte di beni e/o servizi ovvero di valute flat.

In alcuni casi vengono considerate presupposto di imposta anche l’attività di mining (l’attività, portata avanti dai miners, altrimenti noti come “minatori”, consiste quindi nel generare nuove cripto-valute in modo da produrre un reddito continuo) e di staking (svolge una funzione simile a quella del mining, cioè è un processo tramite il quale un partecipante della rete viene selezionato per aggiungere l’ultimo gruppo di transazioni alla blockchain, guadagnando in cambio cripto-valuta).

I criteri di tassazione non sono uniformi, alcuni Paesi hanno adottato sistemi proporzionali mentre altri hanno preferito una tassazione improntata a criteri di progressività.

La diversa impostazione adottata dalla Legislazione dei Paesi presi in considerazione se comparata alle scelte del Legislatore Italiano, con la legge di bilancio per l’anno 2023, fa emergere con chiarezza l’esigenza di un approccio che tenga conto della normativa già esistente al fine di evitare disparità di trattamento fiscale.

L’approccio c.d. look through adottato dall’Agenzia delle Entrate (paragrafo 3.7 della bozza in consultazione della circolare del 15 giugno 2023) in materia di imposizione indiretta (imposta sul valore aggiunto) che prevede la necessità di individuare l’asset sottostante alle cripto-attività, al fine di determinare il suo trattamento fiscale, dovrebbe essere esteso, naturalmente, all’imposizione diretta.

Le cripto-attività costituiscono una categoria assolutamente eterogenea ed abbisognano di un’attività di valutazione caso per caso (che deve fare il legislatore nel determinare la disciplina fiscale anche facendo riferimento alle disposizioni in vigore) della loro natura e della loro funzione al fine di individuare il corretto trattamento fiscale da assegnare.

La circostanza, poi, che vede un bene o un diritto “incorporato” in un asset digitale non dovrebbe condurre ad una diversa tassazione (rispetto allo stesso diritto non incorporato in asset digitale) in evidente violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e di capacità contributiva che “dovrebbero” caratterizzare il nostro ordinamento tributario.

A dire il vero, il nostro Legislatore ha fatto di più e peggio introducendo una tassazione “retroattiva” dei redditi generati a mezzo di operazioni condotte su asset digitali.

Probabilmente, la scelta di alcuni Paesi (è il caso del Regno Unito che considera rendite finanziarie i redditi generati da operazioni aventi ad oggetto le cripto-attività, facendo riferimento alla normativa in vigore) di introdurre un sistema di tassazione per le cripto-attività che faccia riferimento alla normativa fiscale in vigore (per gli asset tradizionali) appare più equa e coerente soprattutto se associata ad un esatta individuazione del sottostante giuridico (diritti, beni e servizi) di cui la cripto-attività ne è la rappresentazione digitale.

Sismabonus acquisti anche con società acquirente collegata alla venditrice

L’esistenza di un collegamento e/o rapporto societario tra la parte venditrice e la parte acquirente non esclude la possibilità per l’acquirente delle unità immobiliari antisismiche di beneficiare del sismabonus acquisti di cui all’art. 16 comma 1-septies del DL 63/2013:
– sia nel caso in cui i soci della società acquirente siano gli stessi della società venditrice;
– sia nel caso in cui la società acquirente sia collegata ex art. 2359 comma 3 c.c. con la società venditrice;
– sia ancora nel caso in cui solo alcuni dei soci della società acquirente siano i medesimi di quelli della società istante, pur non essendo le due società collegate ex art. 2359 comma 3 c.c.

È questo il passaggio più interessante della risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 398 pubblicata ieri, concernente il caso di un edificio in zona sismica demolito e ricostruito con riduzione di classe di rischio sismico da una impresa di costruzione e ristrutturazione immobiliare che cede le 51 unità immobiliari abitative risultanti, con destinazione a uso turistico, ad altra società rientrante in una delle predette casistiche.

Il comma 1-septies dell’art. 16 del DL 63/2013 stabilisce, infatti, che spetta la detrazione IRPEF/IRES anche all’acquirente di singole unità immobiliari site in fabbricati ubicati nelle zone a rischio sismico 1, 2 e 3 dell’ordinanza Presidente del Consiglio dei Ministri 28 aprile 2006 n. 3519 che siano stati per intero oggetto di demolizione e ricostruzione, allo scopo di ridurne il rischio sismico, anche con variazione volumetrica rispetto all’edificio preesistente (ove le norme urbanistiche vigenti consentano tale aumento), da parte di imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, le quali abbiano provveduto all’alienazione dell’unità immobiliare entro 30 mesi dalla data di termine dei lavori (la risposta n. 398/2023 contiene peraltro il precedente termine di 18 mesi dalla fine lavori entro cui cedere le unità immobiliari che è stato modificato dall’art. 119 comma 10-quater del DL n. 34/2020).

L’Agenzia delle Entrate perviene alla predetta conclusione evidenziando che la norma in commento, oltre a non individuare particolari caratteristiche che deve avere il soggetto acquirente, “sotto il profilo della ratio […] essendo finalizzata a promuovere la messa in sicurezza e la stabilità di tutti gli edifici, sia utilizzati come abitazioni che adibiti a sede di attività produttive, professionali, o commerciali, deve avere un’applicazione più ampia possibile, purché coerentemente al dettato normativo”.

Proprio questo tipo di motivazione, direttamente agganciata alla ratio della norma, che ne impone “un’applicazione più ampia possibile, purché coerentemente al dettato normativo”, rende a questo punto lecito supporre che per l’Agenzia delle Entrate, una volta rispettato quanto previsto dal dettato normativo (relativamente a tempistiche, tipologia degli interventi effettuati, ubicazione degli immobili e riduzione della classe di rischio sismico), nessun altro tipo di “sindacato fiscale” debba essere esperito, con esclusione quindi di valutazioni afferenti, magari, possibili abusi del diritto ex art. 10-bis della L. 212/2000 (che, in effetti, non vengono richiamate nella risposta, come sovente accade invece nell’ambito di risposte su altre tematiche che, pur accogliendo la tesi favorevole al contribuente, esplicitano la subordinazione di tali risposte al fatto che non si rinvengano in sede accertativa profili di abuso del diritto).

In verità, la questione rimane molto scivolosa, in quanto soltanto un intervento interpretativo di carattere generale (quale una circolare o una risoluzione), recante una esclusione esplicita e inequivoca della possibilità di contestare l’abuso del diritto in relazione a fattispecie che rispettano il dettato normativo del comma 1-septies dell’art. 16 del DL 63/2013, potrebbe davvero far sentire i contribuenti adeguatamente al riparo da possibili iniziative in questo senso da parte dei singoli uffici territoriali in sede accertativa.

Bene quindi la risposta data dall’Agenzia delle Entrate (che del resto, norme alla mano, non avrebbe potuto essere diversa) e certamente interessante l’aggancio della motivazione di tale risposta non solo al dettato normativo, ma anche alla ratio della norma, ma, per non incorrere nel rischio di futuri bruschi risvegli, pare francamente rimanere opportuna una attenta valutazione caso per caso, da parte dei contribuenti, del più ampio contesto operativo in cui si sviluppano compravendite assistite da sismabonus acquisti tra soggetti correlati.

Operativo l’incentivo per le assunzioni di NEET

Con la circolare n. 68/2023, l’INPS ha fornito le indicazioni operative per consentire ai datori di lavoro una corretta gestione degli adempimenti connessi alla fruizione dell’incentivo per le assunzioni di giovani “NEET” previsto dall’art. 27 del DL 48/2023 (c.d. decreto “Lavoro”).

L’incentivo è pari al 60% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali (ridotto al 20% in caso di cumulo con altra agevolazione) e viene riconosciuto per le nuove assunzioni a tempo indeterminato (anche a scopo di somministrazione) o in apprendistato professionalizzante, effettuate a decorrere dal 1° giugno scorso fino al 31 dicembre 2023, di giovani che alla data dell’assunzione non devono aver compiuto il trentesimo anno di età, non lavorano e non sono inseriti in corsi di studi o di formazione (“NEET”) e sono registrati al Programma operativo nazionale iniziativa occupazione giovani.
L’incentivo, di durata pari a 12 mesi, è riconoscibile dietro presentazione di una domanda all’INPS ed è fruibile mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili.

Ciò premesso, nella circolare in commento si precisa innanzitutto che l’incentivo è riconosciuto in favore di tutti i datori di lavoro privati, a prescindere dalla circostanza che assumano o meno la natura di imprenditore, ivi compresi i datori di lavoro del settore agricolo.

Per quanto riguarda invece i rapporti di lavoro incentivati, che devono essere a tempo indeterminato (anche a scopo di somministrazione o in apprendistato professionalizzante), l’INPS chiarisce che l’incentivo spetta sia in ipotesi di rapporti a tempo pieno che a part time.
Nel merito, si precisa che in caso di assunzione a scopo di somministrazione l’esonero spetta sia per la somministrazione a tempo indeterminato che per quella a tempo determinato, compresi gli eventuali periodi in cui il lavoratore non viene inviato in missione.

Sono invece esclusi dal beneficio i rapporti di lavoro domestico, le assunzioni con contratto di lavoro intermittente e le prestazioni di lavoro occasionale.
Inoltre, l’agevolazione non è riconosciuta nelle ipotesi di trasformazione a tempo indeterminato di rapporti a termine, in quanto, nelle ipotesi di trasformazione, il giovane non avrebbe il requisito fondante il beneficio, ossia la condizione di “NEET”.

Per quanto concerne invece le condizioni di spettanza, l’INPS ricorda che, trattandosi di un incentivo all’assunzione, l’accesso è subordinato al rispetto dei principi generali in materia di incentivi all’occupazione di cui all’art. 31 del DLgs. 150/2015, al rispetto delle norme a tutela delle condizioni di lavoro e dell’assicurazione obbligatoria di cui all’art. 1 commi 1175 e 1176 della L. 296/2006, alla realizzazione dell’incremento netto dell’occupazione e, infine, al rispetto delle condizioni generali di compatibilità con il mercato interno previste dal Regolamento (Ue) n. 651/2014.

Ancora, l’incentivo in oggetto è cumulabile sia con l’esonero per l’occupazione giovanile ex art. 1 comma 297 della L. 197/2022, sia con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, limitatamente al periodo di applicazione degli stessi. In caso di cumulo con altra agevolazione, come anticipato, l’incentivo è riconosciuto nella misura del 20% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali.

Sotto il profilo operativo, nella circolare in commento si precisa che il datore interessato dovrà presentare una domanda preliminare con il modulo di istanza on line “NEET23”, disponibile dal 31 luglio 2023 all’interno del “Portale delle Agevolazioni”, sul sito www.inps.it.
Entro 5 giorni, l’INPS informerà il datore di lavoro dell’eventuale prenotazione positiva dell’importo massimo dell’incentivo, proporzionato alla retribuzione indicata, per il lavoratore segnalato nell’istanza preliminare.
Entro i successivi 14 giorni di calendario, il datore di lavoro dovrà quindi comunicare l’avvenuta stipula del contratto di lavoro, chiedendo conferma della prenotazione effettuata in suo favore.

I termini previsti per la presentazione dell’istanza definitiva di conferma della prenotazione – con contestuale domanda di ammissione all’incentivo – sono perentori; la loro inosservanza determina la perdita degli importi precedentemente prenotati, ferma restando la possibilità di riproporre una nuova istanza.
L’autorizzazione alla fruizione dell’incentivo verrà in seguito disposta dall’INPS in base all’ordine cronologico di presentazione delle istanze.

Infine, nella circolare vengono illustrate le modalità di gestione dell’incentivo nel flusso UniEmens, evidenziando, tra le varie, che per esporre il beneficio spettante, dal periodo di competenza di settembre 2023, nell’elemento “CodiceCausale” presente all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi” e “InfoAggcausaliContrib”, dovrà essere utilizzato il nuovo valore “NE23”.

Split payment prorogato al 30 giugno 2026

Lo split payment, disciplinato dall’art. 17-ter del D.P.R. n. 633/1972, è il meccanismo in base al quale l’IVA, applicata dal cedente o prestatore in fattura, è versata all’Erario direttamente dal cessionario o committente.

Si tratta di una misura speciale che costituisce una deroga agli artt. 206 e 226 della Direttiva n. 2006/112/CE per ciò che riguarda le modalità di pagamento dell’imposta e di fatturazione e che fa parte di un pacchetto di misure introdotte dall’Italia per contrastare la frode e l’evasione fiscale, che comprende anche l’obbligo di fatturazione elettronica, autorizzato dalla decisione di esecuzione n. 2018/593/UE, e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri.

La fatturazione elettronica riduce il tempo necessario all’Amministrazione finanziaria per venire a conoscenza dell’esistenza di un potenziale rischio di frode o di evasione. Allo stesso tempo, in assenza dello split payment, il recupero dell’imposta in capo gli autori di frodi o evasioni potrebbe risultare impossibile in caso di insolvenza.

Pertanto, il frazionamento dei pagamenti quale misura preventiva si è dimostrato estremamente efficace e complementare alla fatturazione elettronica obbligatoria, che costituisce una misura successiva.

Precedenti proroghe

Con la decisione di esecuzione n. 2015/1401/UE, l’Italia è stata autorizzata a prevedere che, fino al 31 dicembre 2017, l’obbligo di versamento dell’IVA sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi alle Pubbliche amministrazioni spettasse a queste ultime.

La misura speciale è stata dapprima prorogata fino al 30 giugno 2020 con la decisione di esecuzione n. 2017/784/UE e, contestualmente, il relativo ambito di applicazione è stato esteso per includervi le cessioni di beni e le prestazioni di servizi nei confronti di alcune società controllate dalle Pubbliche amministrazioni e delle società quotate in borsa incluse nell’indice FTSE MIB.

Lo split payment non avrebbe più dovuto applicarsi dopo la piena attuazione delle procedure di fatturazione elettronica e di trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi, in quanto le stesse consentono all’Amministrazione finanziaria la verifica incrociata delle operazioni dichiarate dai soggetti passivi e il controllo dei versamenti dell’imposta.

Tuttavia, con la decisione di esecuzione n. 2020/1105/UE, il Consiglio europeo ha autorizzato l’ulteriore differimento fino al 30 giugno 2023 in considerazione, da un lato, della recente attuazione delle predette procedure e, dall’altro, della pandemia da COVID-19, che ha reso più problematico, per i soggetti passivi, attuare le modifiche richieste nei loro sistemi di fatturazione e, per le Amministrazioni fiscali, adeguare i sistemi di controllo e informatici.

Nuova proroga al 30 giugno 2026

La rinnovata proroga dello split payment fino al 30 giugno 2026 è giustificata dall’esigenza di evitare una regressione negli sforzi compiuti dall’Italia per ridurre il VAT gap.

Per quanto l’attività di controllo, grazie all’obbligo di fatturazione elettronica e di trasmissione telematica dei corrispettivi, sia immediata, le misure ex post non sono in grado di assicurare il recupero effettivo dell’imposta evasa, in specie quando l’autore dell’evasione non dispone della necessaria capacità finanziaria per pagare il debito d’imposta.

Lo split payment costituisce, quindi, uno strumento particolarmente efficace quando il cessionario o committente presenta un grado di adempimento degli obblighi fiscali superiore a quello del cedente o prestatore, per cui le due misure (fatturazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi, da un lato, e split payment, dall’altro) possono considerarsi complementari e non mutuamente interscambiabili.

Proroga al 30 giugno 2025 per le società incluse nell’indice FTSE MIB

Per rispettare l’obbligo di eliminare gradualmente il sistema dello split payment, dal 1° luglio 2025 saranno escluse dall’ambito di applicazione della misura speciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a favore di società incluse nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana.

I soggetti passivi interessati dalla restrizione disporranno in tal modo del tempo sufficiente per introdurre gli opportuni aggiustamenti operativi e l’Amministrazione finanziaria potrà monitorare l’efficacia della limitazione valutando adeguatamente eventuali alternative possibili.

Annullamenti di opzioni con crediti già ceduti a terzi in cerca di conferme ufficiali

La possibilità di annullare una comunicazione di opzione ex art. 121 del DL 34/2020, viziata da un errore sostanziale, è pacifica quando i crediti d’imposta che da essa derivano sono già stati accettati dal fornitore/primo cessionario, ma da questi ultimi non sono ancora stati ceduti a terzi.

La prassi dell’Agenzia delle Entrate ha però chiarito che la possibilità di annullare una comunicazione di opzione viziata da un errore sostanziale sussiste anche nel caso in cui il fornitore/primo cessionario, che ha accettato i crediti d’imposta che da essa derivano, abbia anche già iniziato a utilizzarli in compensazione sul modello F24 (per un approfondimento si veda l’apposita Scheda di aggiornamento).

In particolare, la risposta a interpello 14 giugno 2023 n. 348, affrontando il caso di un annullamento necessitato dall’errata indicazione del codice fiscale del beneficiario nella comunicazione di opzione di sconto sul corrispettivo, ha ammesso la possibilità di procedervi anche se, nel mentre, il fornitore, che aveva optato congiuntamente al beneficiario, aveva già utilizzato in compensazione sul modello F24 parte della prima quota annuale del credito d’imposta che aveva accettato.

Resta ben inteso che, in tale caso, l’annullamento della comunicazione comporta l’obbligo di riversamento all’Erario delle somme utilizzate in compensazione, da parte del primo cessionario/fornitore, con applicazione del correlato carico sanzionatorio.

Sul punto, peraltro, la risposta a interpello n. 348/2023 ha chiarito che tale carico sanzionatorio non è quello dal 100% al 200% di cui al comma 5 dell’art. 13 del DLgs 471/97 per l’ipotesi di utilizzo di crediti inesistenti, bensì quello del 30% (con possibilità di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso) di cui al precedente comma 4 per l’ipotesi di utilizzo di crediti non spettanti, se, come nel caso oggetto della risposta (errore sul codice fiscale del beneficiario), l’annullamento non riguarda l’esistenza stessa dei crediti d’imposta per un ammontare che copre gli utilizzi in compensazione già effettuati e viene presentata una nuova comunicazione di opzione corretta che consente appunto di considerare “solo” non spettanti, anziché inesistenti, i crediti già utilizzati in compensazione nelle more dell’annullamento e della presentazione della nuova comunicazione.

Nessuna indicazione risulta invece essere stata diramata a oggi dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate con riguardo alla possibilità di annullare una comunicazione di opzione viziata da un errore sostanziale qualora il fornitore/primo cessionario, che ha accettato i crediti d’imposta che da essa derivano, li abbia già ceduti, in tutto o in parte, a un terzo che li abbia a sua volta accettati sulla Piattaforma cessione crediti.

L’assenza di indicazioni ufficiali rende facilmente pronosticabile un rigetto da parte degli uffici delle richieste di annullamento in tali contesti operativi.
Tuttavia, se nella PEC, con cui le parti devono comunicare all’Agenzia delle Entrate la richiesta di annullamento della comunicazione di opzione (circ. 6 ottobre 2022 n. 33, § 5.3), venissero allegati due distinti modelli di istanze di annullamento (la prima compilata e sottoscritta dal beneficiario e dal primo cessionario/fornitore e la seconda compilata e sottoscritta dal primo cessionario/fornitore e dal terzo acquirente), non vi sarebbe davvero alcuna valida ragione per negare la domanda di annullamento, stante l’espresso consenso di tutti i soggetti coinvolti.

Resta inteso che, anche in questo caso, il terzo acquirente, ove avesse già iniziato a utilizzare in compensazione sul modello F24 i crediti d’imposta acquisiti presso il primo cessionario/fornitore, sarebbe obbligato al loro riversamento con il corredo sanzionatorio in precedenza illustrato.

Sul punto, non resta dunque che auspicare che l’Agenzia delle Entrate, dopo aver ottimamente chiarito, seppure con riguardo a un caso specifico, la sussistenza della possibilità di annullare una comunicazione di opzione anche se i crediti d’imposta che da essa derivano hanno già iniziato a essere utilizzati in compensazione sul modello F24 dal primo cessionario/fornitore che li ha accettati, chiarisca la sussistenza di tale possibilità anche nel diverso caso in cui il primo cessionario/fornitore che li ha accettati li abbia già in tutto o in parte ceduti a terzi, fermo restando il necessario coinvolgimento di detti terzi nella formale richiesta di annullamento della comunicazione da cui i crediti d’imposta derivano.

Intrasferibili le rate residue di bonus barriere 75% e bonus mobili

Quando un immobile che è stato oggetto di interventi “edilizi” per i quali spetta una detrazione fiscale viene trasferito, anche le quote residue di detrazione non ancora fruite possono essere a loro volta trasferite.

Le disposizioni normative che prevedono il trasferimento delle rate residue di detrazione non fruite sia in caso di vendita dell’immobile (comprese le ipotesi de cessione gratuita quale, ad esempio, la donazione), sia in caso di decesso del titolare dell’immobile, sono:
– l’art. 16-bis comma 8 del TUIR, per quanto concerne la detrazione IRPEF per interventi di recupero edilizio (c.d. “bonus casa”) e il c.d. bonus verde, di cui all’art. 1 commi 12-15 della L. 205/2017 per espresso rinvio normativo. La disposizione, inoltre, pare possa trovare applicazione anche con riguardo al sismabonus per interventi di miglioramento sismico (sismabonus), di cui all’art. 16 del DL 63/2013 e al bonus per il rifacimento delle facciate, di cui all’art. 1 comma 219 – 223 della L. 160/2019 (bonus facciate);
– l’art. 9 comma 1 del DM 6 agosto 2020 “Requisiti”, con riguardo all’ecobonus per interventi di riqualificazione energetica. I medesimi principi si applicano nell’ambito del superbonus di cui all’art. 119 del DL 34/2020 (circ. Agenzia delle Entrate 8 agosto 2020 n. 24, § 4. Per un approfondimento si veda il Quaderno n. 170).

I bonus per i quali non sono previste le suddette disposizioni inerenti il loro trasferimento sono:
– il bonus per l’eliminazione delle barriere architettoniche (c.d. “bonus barriere 75%”), di cui all’art. 119-ter del DL 34/2020. La circ. n. 17/2023 ha infatti affermato che, “in assenza di specifiche disposizioni, la detrazione non utilizzata in tutto o in parte non si trasferisce in caso di decesso del contribuente che ha sostenuto le relative spese” e che “la detrazione non si trasferisce neanche in caso di cessione dell’immobile oggetto di intervento, in quanto, in tale caso il contribuente che ha sostenuto la spesa può continuare a fruire delle quote di detrazione non utilizzate” (si veda “Bonus barriere 75% anche per gli interventi su singole unità immobiliari” del 4 luglio 2023);
– il c.d. “bonus mobili”, di cui all’art. 16 comma 2 del DL 63/2013 (circ. Agenzia delle Entrate 24 aprile 2015 n. 17, § 4.6).

DETRAZIONE SPETTANTE ANCHE DOPO LA VENDITA

Sia per il “bonus barriere 75%” che per il “bonus mobili”, quindi, la detrazione continuerà ad essere fruita dal beneficiario originario della stessa anche successivamente alla vendita dell’immobile oggetto degli interventi, senza possibilità di poter prevedere il trasferimento delle rate residue all’acquirente. Il bonus mobili, inoltre, permane in capo al venditore dell’immobile anche se sono state trasferite all’acquirente le restanti rate della detrazione IRPEF delle spese per il recupero del patrimonio edilizio, di cui all’art. 16-bis del TUIR.

Allo stesso modo, nel caso di decesso del contribuente, la detrazione (riferita al “bonus barriere 75%” e al “bonus mobili”) non utilizzata in tutto o in parte, non si trasferisce agli eredi per i rimanenti periodi di imposta (tra le altre, circ. Agenzia delle Entrate 24 aprile 2015 n. 17, § 4.6 e circ. Agenzia delle Entrate 26 giugno 2023 n. 17).

Slitta al 2024 l’invio telematico dei dati contenuti nelle schede per la destinazione dell’8, del 5 e del 2 per mille

Con il Provv. n. 155303 del 16/05/2023 – emanato in attuazione dell’art. 17 c.1 del DM 31/05/199 n. 164 – l’Agenzia delle Entrate ha definito le modalità di trasmissione delle schede con le scelte di destinazione dell’otto, cinque e due per mille dell’IRPEF (modelli 730-1), da parte dei sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale nell’anno 2023.

Ciascun contribuente può decidere di destinare una percentuale dell’IRPEF pari al 5, all’8 e al 2 per mille, ovvero:
• l’8 per mille allo Stato o a confessioni religiose che abbiano stipulato il protocollo d’intesa (a decorrere dal periodo d’imposta 2022, l’8 per mille dell’IRPEF può essere destinato anche all’Associazione “Chiesa d’Inghilterra” per finalità di culto, istruzione, assistenza e beneficienza);
• il 2 per mille a partiti politici iscritti nel registro dei partiti che hanno fatto richiesta di essere ammessi alla ripartizione ovvero ad associazioni culturali iscritte all’elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
• il 5 per mille a organizzazioni no profit.

I sostituti d’imposta che comunicano ai propri sostituiti, entro il 15 gennaio di ogni anno, di voler prestare loro assistenza fiscale provvedono a:
• controllare la regolarità formale dalla dichiarazione presentata, anche in relazione alle disposizioni che stabiliscono limiti alla deducibilità degli oneri, alle detrazioni ed ai crediti di imposta;
• consegnare al sostituito, prima dell’invio della dichiarazione, copia della stessa elaborata ed il corrispondente prospetto di liquidazione;
• trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate, le dichiarazioni elaborate, i relativi prospetti di liquidazione e i dati contenuti nelle schede relative alle scelte dell’8, del 5 e del 2 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, secondo le modalità stabilite con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, entro:
– il 15 giugno di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente entro il 31 maggio;
– il 29 giugno di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 1° al 20 giugno;
– il 23 luglio di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 21 giugno al 15 luglio;
– il 15 settembre di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 16 luglio al 31 agosto;
– il 30 settembre di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 1° al 30 settembre;
• comunicare all’Agenzia delle Entrate in via telematica entro i termini sopra indicati, il risultato finale delle dichiarazioni.

i confermano la modalità di trasmissione previste per le schede trasmesse l’anno scorso (modelli 730-1 relativi al periodo d’imposta 2021), di cui al Provv. 11185 del 14/01/2022.
Pertanto:
• i sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale;
• trasmettono le schede con le scelte di destinazione dell’otto, cinque e due per mille dell’IRPEF (modelli 730-1) all’Agenzia delle Entrate tramite un ufficio postale o un soggetto incaricato della trasmissione telematica (art. 3, c. 3, DPR 322/1998).

Si ricorda che l’art. 2 del DL 73/2022, modificando l’art. 37 c. 2-bis lett. c-bis) del DLgs. 241/97, aveva previsto la dematerializzazione, vale a dire la trasmissione telematica, delle schede relative alle scelte di destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF, in relazione ai sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale, che sarebbe dovuta decorrere da quest’anno in relazione alle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2022.

Rinvio al 2024 – La dematerializzazione prevista dall’art. 2 del DL 73/2022 (c.d. DL “Semplificazioni fiscali”) è stata rinviata al 2024 dall’art. 4 comma 2 del DL 51/2023.

I sostituti d’imposta devono consegnare ad un ufficio postale o ad un intermediario le schede per le scelte della destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF, modelli 730-1, contenute nell’apposita busta di cui all’Allegato 2 al provvedimento del 06/02/2023, pubblicato in pari dati sul sito internet dell’Agenzia delle entrate, di approvazione del modello 730/2023 e delle relative istruzioni, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dai contribuenti, ovvero in una normale busta di corrispondenza, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dal contribuente, avente le caratteristiche indicate nel punto 10.5 del provvedimento del 06/02/2023.

In alternativa, è possibile utilizzare una normale busta di corrispondenza, nella quale si indicano le seguenti informazioni:
• la dicitura “Scelte della destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF”;
• il cognome, il nome e il codice fiscale del dichiarante.

Nel caso in cui la dichiarazione sia presentata in forma congiunta, i due modelli 730-1 devono essere inseriti in due distinte buste, sulle quali devono essere riportate le suddette indicazioni riferite, rispettivamente, al dichiarante e al coniuge.

In entrambi i casi, le buste devono essere debitamente sigillate e contrassegnate sui lembi di chiusura dal contribuente.

In caso di consegna delle buste a un intermediario, i sostituti d’imposta utilizzano la bolla di consegna di cui all’Allegato 1 al provvedimento 34545/2023, nella quale si riportano i codici fiscali dei soggetti che hanno effettuato la scelta.

Qualora le buste vengano consegnate a un ufficio postale, non è necessario indicare nella suddetta bolla i codici fiscali. In questo caso, i sostituti d’imposta devono però raggruppare le buste in pacchi chiusi contenenti fino a cento pezzi. Su ciascun pacco, numerato progressivamente, deve essere apposta la dicitura “Modello 730-1” e devono essere indicati il codice fiscale, il cognome e il nome o la denominazione e il domicilio fiscale del sostituto d’imposta.

Gli uffici postali e gli intermediari sono tenuti a trasmettere tempestivamente in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati contenuti nelle schede ricevute dai contribuenti.

In ogni caso, gli intermediari devono inviare i dati entro il 31 luglio 2023 per le schede ricevute fino al 15/07/2023 ed entro il 15/10/2023 per le schede ricevute fino al termine di presentazione del modello 730/2023.

Avvisi bonari in ferie sino al 4 settembre

Il legislatore ha previsto una sospensione estiva per il pagamento degli avvisi bonari.
Rammentiamo che nella liquidazione automatica (artt. 36-bis del DPR 600/73 e 54-bis del DPR 633/72) e nel controllo formale (art. 36-ter del DPR 600/73) delle dichiarazioni al contribuente viene notificato un “avviso bonario”. Se egli ritiene, può versare gli importi (o la prima rata) entro 30 giorni, fruendo della riduzione delle sanzioni a un terzo o a due terzi, evitando la notifica della cartella di pagamento (vedasi gli artt. 2 e 3 del DLgs. 462/97; è ammesso il pagamento rateale alle condizioni del successivo art. 3-bis).

L’art. 7-quater comma 17 del DL 193/2016 stabilisce che sono sospesi dal 1° agosto al 4 settembre i termini per il pagamento delle somme da avviso bonario, di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 462/97 e 1 comma 412 della L. 311/2004 (è inclusa la liquidazione dei redditi soggetti a tassazione separata).
Quindi, il termine di 30 giorni, utile per fruire della definizione dell’avviso bonario, è sospeso dal 1° agosto al 4 settembre.

Così, se l’avviso bonario è ricevuto dal contribuente il 18 luglio, il pagamento dovrà avvenire entro il 21 settembre.
Trattasi di una sospensione un po’ più lunga della feriale, che va dal 1° agosto al 31 agosto di ogni anno.
Qualora l’avviso bonario sia notificato durante il periodo di sospensione (da inizio agosto al 4 settembre), dovrebbe iniziare a decorrere dal 5 settembre, sebbene sia opportuna una conferma della prassi.
Nessuna sospensione è prevista per il pagamento delle rate successive alla prima, accordate ai sensi dell’art. 3-bis del DLgs. 462/97.

Bisogna poi considerare l’art. 1 del DL 61/2023: per i soggetti che al 1° maggio 2023 avevano la residenza o la sede in uno dei territori individuati nell’allegato 1 al decreto, interessati dall’alluvione verificatasi nelle regioni Emilia-Romagna, Marche e Toscana, i termini di pagamento relativi a qualsiasi atto sono sospesi dal 1° maggio 2023 al 31 agosto 2023.
I termini sospesi, se si tratta di avvisi bonari, riprendono a decorrere dal 5 settembre, dovendosi considerare anche la richiamata pausa estiva (vedasi le FAQ del 28 giugno 2023).
Per quanto riguarda le rate successive alla prima, esse, se scadenti dal 1° maggio al 31 agosto, dovranno essere pagate entro il 1° settembre 2023.

Tornando alle sospensioni “nazionali”, non è prevista, almeno testualmente, alcuna sospensione per le richieste di documentazione a seguito di controllo formale della dichiarazione.
Segnaliamo che il CNDCEC, con l’Informativa n. 92 del 5 luglio 2023, ha comunicato che, in via informale, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che la trasmissione della documentazione relativa al controllo formale delle dichiarazioni dei redditi per il periodo d’imposta 2020 “potrà avvenire, senza conseguenze, anche nei primi quindici giorni di settembre”.

Il rinvio dovrebbe operare anche in relazione alle segnalazioni di anomalie relative ai modelli ISA per il triennio 2019-2021.

SITUAZIONE PARTICOLARE PER GLI ALLUVIONATI

C’è infine la sospensione ex art. 37 comma 11-bis del DL 223/2006: “i termini per la trasmissione dei documenti e delle informazioni richiesti ai contribuenti dall’Agenzia delle entrate o da altri enti impositori sono sospesi dal 1º agosto al 4 settembre, esclusi quelli relativi alle richieste effettuate nel corso delle attività di accesso, ispezione e verifica, nonché delle procedure di rimborso ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”.
Si dovrebbe trattare dei termini relativi alla restituzione di questionari, agli inviti a comparire e alle richieste di documenti ex art. 32 del DPR 600/73.

Proroga degli impatriati ancorata all’AIRE

Con risposta al question time n. 5-01137 del 19 luglio 2023, il MEF ha ribadito che, in considerazione del dettato normativo, possono accedere alla proroga del regime degli impatriati per un ulteriore quinquennio (art. 16 del DLgs. 147/2015) i soggetti iscritti all’AIRE o i cittadini Ue che abbiano trasferito la residenza prima del 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultassero beneficiari dell’agevolazione.
Pertanto, dovrebbero ritenersi in ogni caso esclusi dalla possibilità di esercizio dell’opzione coloro che, benché beneficiari al 31 dicembre 2019 del regime speciale per i lavoratori impatriati, non sono stati iscritti all’AIRE o sono cittadini extracomunitari.

L’impostazione si evince da un’interpretazione letterale dell’art. 1 comma 50 della L. 178/2020 che ha introdotto, all’art. 5 comma 2-bis del DL 34/2019, la possibilità, anche per i “vecchi” lavoratori impatriati, di prolungare il regime per ulteriori 5 periodi d’imposta (analogamente a quanto previsto dall’art. 16 comma 3-bis del DLgs. 147/2015 per i “nuovi” impatriati).
Tale norma riconosce, infatti, il beneficio dell’estensione ai “vecchi” impatriati “che siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea”. Di analogo tenore, il provv. Agenzia delle Entrate n. 60353/2021, attuativo della suddetta facoltà.

La formulazione in base alla quale, per i cittadini italiani, l’estensione risulterebbe condizionata all’iscrizione pregressa all’AIRE della persona è suscettibile di critiche alla luce del fatto che le Convenzioni internazionali, quale fonte sovraordinata, consentono di comprovare la residenza estera pregressa in base a canoni quali l’abitazione permanente e il centro degli interessi vitali. Gli stessi interroganti evidenziano come, ai fini dell’accesso al regime ordinario per i nuovi impatriati, l’iscrizione all’AIRE non rappresenti più un requisito indispensabile.

Infatti, mediante il comma 5-ter dell’art. 16 del DLgs. 147/2015, il legislatore ha riconosciuto la possibilità di fruire dell’agevolazione ordinaria anche in capo ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia dal 1° gennaio 2020, ferma restando la possibilità di comprovare il periodo di residenza all’estero sulla base delle Convenzioni contro le doppie imposizioni (risposta interpello Agenzia delle Entrate 25 novembre 2019 n. 495). Ciò vale, in base alla circ. Agenzia delle Entrate 28 dicembre 2020 n. 33, § 5, anche per i soggetti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia entro il periodo di imposta 2019 (cfr. anche risposta a interpello Agenzia delle Entrate 25 novembre 2019 n. 497).
Ciò nonostante, la necessaria iscrizione all’AIRE è stata più volte confermata dell’Agenzia ai fini dell’estensione temporale del beneficio (cfr., da ultimo, risposta a interpello 3 giugno 2022 n. 321), oltre che dalla risposta all’interrogazione parlamentare in commento.

Risulta altresì eccessivamente legata al dato formale della norma l’impostazione per cui, stando al dettato normativo, il prolungamento del periodo agevolato sarebbe, altresì, precluso ai cittadini non comunitari (e, da quanto emerge dal testo di legge, ai cittadini degli Stati appartenenti allo Spazio economico europeo).

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 172/2022, ha ammesso l’esercizio dell’opzione per la proroga da parte di un cittadino britannico in virtù del principio di non discriminazione di cui all’art. 12 dell’Accordo sul recesso del Regno Unito del 24 gennaio 2020. Inoltre, l’art. 24 del citato Accordo, facendo esplicito richiamo al regolamento Ue 492/2011 (relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione), garantisce ai cittadini del Regno Unito di godere degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.

Tale divieto di discriminazione, evidenzia l’Agenzia, è coerente con quanto previsto all’art. 25 paragrafo 1 della Convenzione tra l’Italia e il Regno Unito per evitare le doppie imposizioni secondo cui: “i nazionali di uno Stato contraente non sono assoggettati nell’altro Stato contraente ad alcuna imposizione od obbligo ad essa relativo, diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali di detto altro Stato che si trovino nella stessa situazione”.

Mediante questa presa di posizione l’Agenzia sembra superare il limite per cui alcune normative agevolative sono riservate alle persone residenti in uno Stato membro dell’Ue, fornendone un’interpretazione estensiva che, con riferimento alla circolazione dei lavoratori inglesi, trova fondamento in una norma specifica dell’accordo commerciale ma che, con riferimento cittadini di uno Stato non comunitario con cui è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni, troverebbe fondamento nel principio di non discriminazione in essa contenuto.

In altre parole, la preclusione dovrebbe riguardare soltanto i cittadini extracomunitari che siano cittadini di uno Stato con cui non è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni ovvero di uno Stato con cui è in vigore una Convenzione non recante il principio di non discriminazione.

La valorizzazione dei requisiti formali soprarichiamati non sembra in linea con la ratio di agevolare le persone fisiche che rientrano in Italia per svolgervi un’attività di lavoro e presta il fianco a non giustificabili discriminazioni basate sulla cittadinanza dei lavoratori.

Il Governo chiude alla proroga dei versamenti con lo 0,40%

Nonostante le reiterate richieste degli addetti ai lavori, sembrano esserci sempre meno possibilità che venga concessa la proroga dei versamenti con maggiorazione dello 0,40% per soggetti ISA e forfetari. Dopo la chiusura dei giorni scorsi da parte del Viceministro al MEF Maurizio Leo, interpellato sulla questione a margine di un convegno, ieri la Sottosegretaria all’Economia Lucia Albano ha espresso la posizione ufficiale del Governo sul tema, ribadendo la sostanziale contrarietà allo spostamento della scadenza dal 31 luglio al 21 agosto.

Rispondendo a una interrogazione presentata da Federico Fenu (M5s) in Commissione Finanze della Camera, l’esponente dell’Esecutivo ha spiegato che lo scorso anno non c’è stato alcun differimento del termine, che è slittato al 22 agosto solo perché 30 e 31 luglio cadevano di sabato e domenica. La scadenza sarebbe slittata al 1° agosto ma per effetto dell’art. 37 comma 11-bis del DL 223/2006 (convertito con modificazioni in L. n. 248/2006), secondo cui tutti i versamenti previsti dal 1° al 20 agosto possono essere effettuati il 20 agosto senza maggiorazione, c’è stata una proroga automatica al 22 agosto (dato che 20 e 21 cadevano di sabato e domenica).

In più, ha aggiunto Albano, “nella complessiva valutazione della tematica, il Governo non può trascurare le necessità di coniugare le esigenze poste a fondamento delle rivendicazioni qui in rilievo con quelle di certezza dei rapporti tributari e degli ordinari flussi di cassa. Vale altresì aggiungere che le informazioni desumibili dai versamenti restano di fondamentale importanza per la tempestiva predisposizione delle previsioni delle entrate tributarie ai fini della NADEF, che il Governo presenterà entro il prossimo mese di settembre”.

In altre parole, la mancanza di adeguate coperture finanziarie, che la Ragioneria generale dello Stato aveva quantificato in 4,5 miliardi, e la necessità di avere tutti i dati per predisporre la Nota di aggiornamento al DEF, impongono di non accogliere la richiesta di proroga dei versamenti con maggiorazione, che pure era stata concessa per sei anni consecutivi ad esclusione del 2022.

Rimane, quindi, la proroga parziale disposta con i commi 3-sexies e 3-septies dell’art. 4 del DL 51/2023, convertito nella L. n. 87/2023 (pubblicata sulla G.U. del 5 luglio 2023 n. 155), che spostava a oggi, 20 luglio, il solo termine ordinario di versamento (inizialmente fissato al 30 giugno), tenendo fermo il termine del 31 luglio per i pagamenti con lo 0,40%.

La posizione del Governo, però, non convince l’Associazione nazionale commercialisti. Commentando la risposta fornita da Albano durante il question time in Commissione Finanze, il Presidente del sindacato, Marco Cuchel, sottolinea che se lo scorso anno la proroga non è stata concessa è stato solo per “una coincidenza di date, che ha fatto sì che il termine scivolasse per forza di cose al 20 agosto”, rendendola di fatto non necessaria.

Nonostante ciò, lo slittamento automatico del termine “non ha impedito la presentazione del NADEF nel mese di settembre 2022, come invece viene paventato per quest’anno, in caso di concessione della proroga. Inoltre, nonostante negli ultimi sei anni la proroga sia sempre stata concessa, il NADEF, o il suo equivalente, è sempre stato presentato nei tempi previsti”.

Per questo, l’associazione di categoria continua a sperare che “prevalga la ragionevolezza” e che, anche in virtù dell’Ordine del Giorno approvato la scorsa settimana in Aula alla Camera (si veda “Il Governo dovrà valutare la proroga dei versamenti con maggiorazione” del 13 luglio 2023), possa ancora esserci spazio per un ripensamento. Al momento, però, i margini sembrano essere davvero ridotti.