Doppio binario per le locazioni brevi in REDDITI PF

Nel modello REDDITI PF, le locazioni brevi possono essere indicate sia nel quadro RB (nel modello 730/2023, quadro B) che nel quadro RL (nel modello 730/2023, quadro D), perché possono produrre sia redditi fondiari che redditi diversi. Si ricorda, infatti, che l’art. 4 del DL 50/2017, dopo aver definito locazioni brevi i “contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare”, al comma 3 assimila alle locazioni brevi anche i contratti di sublocazione e i contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi a oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi, stipulati alle condizioni che configurano una locazione breve (durata massima 30 giorni, eventuali servizi accessori etc.).

In particolare, nella circ. Agenzia delle Entrate 12 ottobre 2017 n. 24, § 3.1, l’Amministrazione ha precisato che i redditi derivanti dal contratto di locazione breve stipulato dal comodatario vanno eccezionalmente imputati al comodatario e qualificati come redditi diversi, assimilandoli ai redditi derivanti dalla sublocazione (in deroga a quanto opera, in generale, per i redditi degli immobili dati in comodato che, secondo quanto affermato nelle ris. 14 ottobre 2008 n. 381 e 22 ottobre 2008 n. 394, vanno comunque imputati al proprietario/comodante quali redditi fondiari).

Quindi, limitatamente ai contratti di locazione “breve” ex art. 4 del DL 50/2017 stipulati dal comodatario:
– il comodante resta titolare del reddito fondiario derivante dal possesso dell’immobile oggetto di comodato;
– il comodatario/locatore diventa titolare del reddito derivante dal contratto di concessione in godimento qualificabile come reddito diverso assimilabile alla sublocazione (circ. n. 24/2017, § 3.1) e su tali redditi è possibile l’opzione per la cedolare secca.

Pertanto, come rilevato dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 24/2017, l’ambito di applicazione delle locazioni brevi non può essere definito sulla base del tipo di reddito prodotto, atteso che la normativa si applica sia a contratti produttivi di reddito fondiario che a contratti produttivi di redditi diversi nel caso di contratti stipulati dal locatore o dal comodatario.
Per questo, i redditi derivanti da locazioni brevi, devono essere dichiarati:
– nel quadro RB del modello REDDITI PF 2023 (quadro B, nel modello 730/2023), se si tratta di redditi fondiari, secondo le regole ordinarie per essi operanti (con le particolarità derivanti dall’eventuale esistenza della ritenuta);
– nel quadro RL del modello REDDITI PF 2023 (quadro D, nel modello 730/2023), se si tratta di redditi diversi derivanti dalla sublocazione breve o dalla locazione breve stipulata dal comodatario.

Ma redditi diversi e redditi fondiari applicano principi di imputazione dei redditi diversi, posto che:
– per i redditi diversi opera il principio di cassa, sicché dovranno essere imputati integralmente al 2022 i redditi percepiti nel 2022, a prescindere da quando il contratto di sublocazione o locazione del comodatario abbia avuto esecuzione;
– per i redditi fondiari opera il principio di competenza, sicché il reddito fondiario derivante dalla locazione effettuata nel 2022 va indicato nel 730/2023 anche se il corrispettivo non è stato ancora percepito.
Inoltre, in presenza di un intermediario i redditi da locazione breve sono soggetti a obbligo di ritenuta e di certificazione.

Nella compilazione dei modelli REDDITI 2023, bisogna tenere conto dei dati inseriti nella Certificazione Unica, quadro “Certificazione Redditi – Locazioni brevi”, tenendo conto del fatto che la Certificazione Unica segue il criterio di cassa, mentre il medesimo non vale per tutti i redditi prodotti dalle locazioni brevi.

Come illustrato nelle istruzioni alla compilazione del quadro LC (posto che sulle locazioni brevi è possibile optare per la cedolare secca), atteso che nel modello REDDITI PF 2023 confluiscono i redditi 2022, nella colonna 4 del rigo LC1 “Ritenute CU locazioni brevi” devono confluire le ritenute certificate nel quadro “Certificazione Redditi – Locazioni brevi” della Certificazione Unica 2023 relative all’anno 2022, per le quali, quindi, la casella “Anno” di colonna 4 del quadro “Certificazione Redditi – Locazioni brevi” della Certificazione Unica 2023 sia valorizzata con l’anno 2022.

Questa ultima casella deve essere valorizzata sempre con l’anno 2022 ove la casella di colonna 21 “Locatore non proprietario” sia barrata, perché si tratta di sublocazioni o di locazioni brevi del comodatario, che, configurando redditi diversi, adottano il principio di cassa, sicché, anche se riferiti a contratti svolti nel 2021 o 2023, i redditi percepiti nel 2022 (confluiti nella CU 2023) con riferimento a tali contratti vanno indicati nel modello REDDITI PF 2023.

Va rammentato, infine, che si esce dalla disciplina delle locazioni brevi, per espressa previsione normativa (art. 1 comma 595 della L. 178/2020), in caso di destinazione alla locazione di più di 4 appartamenti nel periodo di imposta, perché l’attività di presume svolta nell’esercizio dell’impresa.

Soglia di 3.000 euro dei fringe benefit con figli fiscalmente a carico

L’art. 40 del DL 48/2023 (c.d. DL “Lavoro”), pubblicato sulla G.U. n. 103 del 4 maggio 2023, ha previsto l’incremento, per il 2023, della soglia di non imponibilità dei fringe benefit a 3.000 euro per i soli lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico, restando invece ferma a 258,23 euro per tutti gli altri dipendenti.

Rispetto alla prima versione della bozza circolata (si veda “Per il 2023 soglia dei fringe benefit a 3.000 euro ma solo con figli a carico” del 3 maggio 2023), la disposizione è stata integrata, individuando tra l’altro più nel dettaglio quelli che inizialmente erano stati definiti genericamente come “figli a carico”.

Il comma 1 dell’art. 40 del DL dispone che “Limitatamente al periodo d’imposta 2023, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo” del TUIR “non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di euro 3.000, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del citato testo unico delle imposte sui redditi, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. I datori di lavoro provvedono all’attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti”.

Ai fini della disposizione in esame rilevano quindi i dipendenti con figli – compresi i figli nati fuori dal matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati – fiscalmente a carico ai sensi dell’art. 12 comma 2 del TUIR.
In base a tale disposizione, i figli sono considerati fiscalmente a carico se non superano i 24 anni di età e se hanno percepito nell’anno un reddito pari o inferiore a 4.000 euro; se superano i 24 anni sono considerati a carico se hanno percepito un reddito complessivo annuo non superiore a 2.840,51 euro.

In relazione all’applicazione del limite reddituale di 4.000 euro previsto per i figli a carico di età non superiore a 24 anni, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “il requisito anagrafico deve ritenersi sussistere per l’intero anno in cui il figlio raggiunge il limite di età, a prescindere dal giorno e dal mese in cui ciò accade” (risposta a Telefisco 2018). Pertanto, se nel 2023 i figli compiono i 24 anni, la soglia di reddito a cui fare riferimento per verificare lo status di figlio fiscalmente a carico è di 4.000 euro, a prescindere dal giorno e dal mese del compleanno.
Il suddetto limite di 2.840,51 o 4.000 euro è riferito all’intero periodo d’imposta (anno solare), indipendentemente dal periodo in cui viene prodotto. Pertanto, se al termine del periodo d’imposta (2023, ai fini in esame) si è superato il limite, non si è fiscalmente a carico, neppure per la parte dell’anno in cui il familiare era privo di redditi.

In linea generale, non rileva comunque la circostanza che i figli convivano con i genitori (il figlio a carico può anche risiedere all’estero), né che siano dediti o meno agli studi o a tirocinio gratuito.

Quanto all’ambito oggettivo di applicazione della norma, rientrano nella soglia di 3.000 euro il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

Il comma 2 dell’art. 40 del DL dispone inoltre che resta ferma l’applicazione dell’art. 51 comma 3 del TUIR, in relazione ai beni ceduti e ai servizi prestati a favore dei lavoratori dipendenti per i quali non ricorrono le condizioni indicate nel comma 1.
Pertanto, per i lavoratori dipendenti senza figli a carico resta ferma l’ordinaria soglia di 258,23 euro.

DICHIARAZIONE CON IL CODICE FISCALE DEI FIGLI

L’applicazione della soglia di 3.000 euro per i dipendenti con figli fiscalmente a carico non è automatica.
A norma del comma 3 dell’art. 40 del DL 48/2023, infatti, “Il limite di cui al comma 1 si applica se il lavoratore dipendente dichiara al datore di lavoro di avervi diritto indicando il codice fiscale dei figli”.
Di conseguenza, il lavoratore dipendente dovrà fornire al datore di lavoro un’autodichiarazione in cui attesti di avere diritto a fruire della soglia di 3.000 euro per il 2023, indicando il codice fiscale dei figli fiscalmente a carico.

Un aspetto che andrebbe chiarito riguarda il caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico.
Stando alla citata disposizione, che non prevede particolari limitazioni e fa riferimento in generale al lavoratore dipendente, la soglia di 3.000 euro sembrerebbe applicabile, per intero, distintamente per ciascun genitore. La soluzione però appare di dubbia coerenza sistematica perché creerebbe una doppia agevolazione per il solo fatto che entrambi i genitori sono lavoratori dipendenti.

CONTRIBUENTI FORFETTARI E FUORIUSCITA – REGIME DI IVA E RITENUTE

Come noto, il legislatore ha previsto originariamente che il regime forfettario cessa di avere applicazione
dall’anno successivo al momento in cui
– viene meno taluna delle condizioni previste ovvero si verifica una delle fattispecie previste dalla legge (art. 1, co. 71, Legge n. 190/2014)
– ovvero l’accertamento notificato dall’amministrazione finanziaria diviene definitivo, producendo gli effetti di cui sopra (art. 1, co. 74, Legge n. 190/2014).

FUORIUSCITA DAL REGIME – NOVITÀ DELLA LEGGE DI BILANCIO 2023

In passato il verificarsi di una cause di esclusione comportava la fuoriuscita dal regime agevolato a partire
dal periodo successivo.
La L. n. 197/2022 è intervenuta in merito, disponendo:
▪ oltre all’innalzamento da €. 65.000 a €. 85.000 del limite dei ricavi/compensi che consentono l’applicazione del regime forfetario
▪ anche l’introduzione di un limite, pari a €. 100.000, al cui superamento ricorre la decadenza retroattiva dal regime, dovendosi, in tal caso, distinguere gli effetti
ai fini dell’Iva: l’applicazione dell’imposta opera solo a decorrere dalle operazioni che comportano il superamento del limite di €. 100.000
Nota: ai fini Iva i lavori parlamentari relativi alla legge di bilancio 2023 hanno ritenuto che, al superamento del limite, l’anno si caratterizzerà per la presenza di operazioni escluse e di operazioni imponibili
A fini cautelativi, è opportuno applicare l’Iva sull’intera fattura che ha comportato lo splafonamento (senza suddivisione tra una quota imponibile ed una esclusa).
ai fini reddituali: l’intero periodo d’imposta è soggetto ad Irpef
Nota: il reddito sarà determinato secondo le regole regime naturale di contabilità semplificata (sempreché il contribuente non intenda esercitare l’opzione per la contabilità ordinaria).
ai fini delle ritenute: la norma nulla dispone nel merito
Nota: si ricorda che i contribuenti in regime forfettario per quanto attiene la soggettività:
– attiva: non sono tenuti ad operare le ritenute alla fonte, salvo il caso di corresponsione di redditi di lavoro dipendente/assimilato.
– passiva: possono (facoltà) comunicare al committente di operare regime forfettario al fine di escludere l’applicazione delle ritenute.

CORREZIONE DI COMPORTAMENTI ERRATI

Con la Risposta ad interpello n. 245/2023 l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti circa gli adempimenti da porre in essere in presenza di errori connessi alla fuoriuscita dal regime forfettario

IL CASO: un professionista in regime forfetario doveva fuoriuscire dal regime agevolato dal 2021 (supero dei compensi nel 2020); tuttavia si accorge solo nel 2022 di aver perso i requisiti, trovandosi nella condizione di non aver correttamente ottemperato agli obblighi fiscali riguardanti:
– l’iva
– e la sostituzione d’imposta (ha comunicato al committente la mancata applicazione della ritenuta).
A tal fine l’Agenzia individua due diverse modalità alternative da seguire per la correzione dell’errore,
anche riferendosi a precedenti interpelli:

RIFLESSI SUL SOSTITUTO

Quanto indicato implica degli adempimenti differenti in capo al sostituto d’imposta a seconda del periodo d’imposta in cui la fattura viene regolarizzata; in particolare:

REGIME SANZIONATORIO PER IL SOSTITUTO
Una prima questione attiene alle eventuali sanzioni applicabili in capo al sostituto.
A tal fine l’Agenzia, richiamando il costante l’orientamento della giurisprudenza (Cass., nn. 14033/2006,5020/2003 e 10613/2000), ritiene che:
▪ in applicazione del principio di colpevolezza di cui all’art. 6, Dlgs. 472/97
▪ debba essere esclusa qualsiasi sanzione se il sostituto ha agito con la dovuta “diligenza”.

In linea generale si deve ritenere che tale diligenza non possa che essere limitata alla constatazione della presenza dell’apposita dichiarazione rilasciata dal contribuente forfettario (in calce alle fatture emesse o negazione separata).
Nota: un profilo di responsabilità potrebbe sorgere nel solo caso in cui il committente sia in grado di conoscere l’obbligo di fuoriuscita dal regime agevolato del prestatore; si pensi al caso in cui le sole fatture emesse verso il sostituto eccedano il limite annuale dei compensi.

SANZIONI AL CONTRIBUENTE FORFETTARIO:

Per quanto attiene il regime sanzionatorio da applicare al contribuente forfettario, la questione diviene più complessa, a tal fine, si riprenda l’esempio proposto.

Periodo 2021: la sanzione del 30% per tardivo versamento dell’Iva non opera in quanto l’ufficio applicherà la sanzione proporzionale (che assorbe la precedente – CM 42/2016) per il Mod. Iva 2022 omesso (anche laddove fosse inviato oltre i 90 gg dal termine del 30/04/2023)
Questa assorbirà anche le sanzioni riferite alle LI.PE. non inviate nel 2021, nonché le sanzioni per tardiva regolarizzazione dell’Iva in fattura, in applicazione del cumulo giuridico (art. 12, Dlgs 472/97).

In tal caso la sanzione base dovrebbe risultare costituita dalla dichiarazione omessa (120% dell’Iva non dichiarata), per quanto va valutato se risulti superato dalla sanzione minima (di €. 500) applicabile a ciascuna fattura emessa senza Iva (dipendendo ciò dal numero di fatture emesse nell’anno).
N.B.: si ritiene che l’Ufficio sia obbligato ad applicare il cumulo giuridico, posto che tutte le violazioni poggiano su un unico presupposto, riferito all’errata convinzione di poter fruire del regime forfettario (CM 180/97).

Periodo 2022: laddove il contribuente non procedesse a regolarizzare il 2022, l’ufficio estenderebbe il cumulo su più periodi d’imposta (assorbendo dette sanzioni), applicando la maggiorazione del 50% la sanzione base (ciò, in generale, non risulta conveniente, in quanto la sanzione base è pari a quella più elevata corrispondente alla dichiarazione omessa, il cui importo risulta pari a tutta l’Iva a debito nel 2021).
N.B.: al contrario può risultare conveniente nel caso in cui il ritardo nella regolarizzazione avvenga oltre il 2022 (es: solo nel 2023 o successivamente), in quanto l’unica sanzione da cumulo giuridico (maggiorata del 50%) si estende per tutti i periodi d’imposta accertabili.

Sanzioni per omessa applicazione di ritenute a terzi
Una ulteriore fonte di violazione potrebbe essere costituita dalla mancata applicazione della ritenuta su fatture ricevute (professionisti e agenti). Ciò non si verifica nel caso in cui il contribuente abbia comunque proceduto, agli adempimenti dei sostituti d’imposta, per quanto in via facoltativa (l’obbligo ricorre solo per i dipendenti e co.co.co. o soggetti assimilati).

SUPERAMENTO IN CORSO D’ANNO DEL LIMITE DI 100.000 EURO

Quanto indicato in precedenza trova applicazione:
▪ non solo nel caso di fuoriuscita dall’anno successivo, come nel caso dell’interpello
▪ ma anche in presenza di decadenza retroattiva: in tal caso l’aspetto
✓ attiene al solo ambito delle ritenute non operate
✓ semprechè il contribuente abbia provveduto ad applicare l’Iva sulle fatture successive allo splafonamento.


Il Governo apre alla limitazione delle responsabilità dei sindaci

Il Governo intende introdurre “un tetto alle responsabilità del collegio sindacale per ipotesi colpose”, in modo da “rendere proporzionata l’esposizione al rischio rispetto al compenso”. Sono parole attese da tempo quelle che il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha pronunciato in apertura degli Stati generali dei commercialisti, tenutisi ieri a Roma.

La cornice era quella delle grandi occasioni, più di 1.600 rappresentanti della categoria intervenuti da tutta Italia, e la risposta della politica, forse mai così presente, non è stata da meno. Il leit motiv, dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni (che ha inviato un video messaggio) ai Ministri Calderone, Fitto e Sangiuliano e i Viceministri Leo e Sisto, fino ai principali esponenti dei partiti di opposizione (Elly Schlein del Pd e Giuseppe Conte del M5s su tutti), è stato sempre lo stesso: “I commercialisti sono una fondamentale cinghia di trasmissione tra contribuenti e istituzioni, e hanno le competenze per aiutare il decisore politico nella definizione delle norme”.

Frasi già ripetute in altre occasioni ma, almeno a sentire il Presidente del CNDCEC, Elbano de Nuccio, la sensazione è che questa volta non si tratti solo di parole: “Oggi – ha detto dal palco della «Nuvola» – le istituzioni ci ascoltano molto. I commercialisti sono entrati in gioco e i risultati si vedono”.

Sintomatica, in questo senso, proprio l’apertura sul fronte della limitazione delle responsabilità del collegio sindacale, che i commercialisti chiedevano da tempo e che è stata confermata anche da Francesco Paolo Sisto. Il Viceministro alla Giustizia ha annunciato l’avvio in tempi brevi di un tavolo sulla riforma dei reati fallimentari, che dovrà muoversi su binari ben precisi: premiare chi fa più prevenzione, rafforzare il nesso di causalità (“Solo chi ha materialmente provocato il dissesto deve andare incontro alla sanzione”), evitare “distanze temporali abissali” tra il dissesto e il fatto che lo ha provocato, limitare il dolo eventuale che spesso è imputato al professionista, che “deve rispondere solo di quello che ha fatto e non di quello che qualcuno dice che avrebbe dovuto fare”.

Nella direzione auspicata dai commercialisti va anche l’idea di eliminare l’IRAP sugli studi associati e ridurre gli obblighi antiriciclaggio, “pur nella consapevolezza – ha sottolineato Mantovano – che è una disciplina europea che offre pochi margini di manovra”.

C’è poi quella che de Nuccio ha definito “la madre di tutte le riforme”, la riforma fiscale. La legge delega “ha recepito tante delle proposte avanzate dai commercialisti”, ma adesso si tratta di “mettere a terra” quei principi attraverso i decreti attuativi. “Sulle risorse – ha spiegato il Viceministro all’Economia, Maurizio Leo – aspettiamo la nota di aggiornamento al DEF, ma sui procedimenti si può intervenire già da subito”.

Per ciò che riguarda la semplificazione, dalla “razionalizzazione del calendario fiscale” (con la riduzione degli adempimenti di agosto e dicembre) allo “sfoltimento dei 226 crediti d’imposta attualmente presenti”, Leo annuncia l’arrivo dei primi decreti legislativi “già a settembre”, mentre per gennaio 2024 dovrebbero essere licenziati i Testi unici sulle singole imposte.

C’è poi la ripresa del tavolo sul lavoro autonomo, che la Ministra del Lavoro Calderone ha annunciato di voler riconvocare a breve, con l’obiettivo di portare a compimento il percorso del “Jobs act degli autonomi” e attuare in concreto il principio di sussidiarietà dei professionisti nei confronti della Pubblica Amministrazione. Senza dimenticare “l’attualizzazione dei compensi dei revisori degli enti locali”, di cui ha parlato il Sottosegretario all’interno, Emanuele Prisco.

Su altri temi, invece, i commercialisti aspettano ancora risposte. Su tutti, gli incentivi alle aggregazioni professionali, che, secondo de Nuccio, sono “il principale strumento, assieme alle specializzazioni, per contrastare la perdita di appeal delle professioni nel loro complesso”. Ma anche lo stop alla proliferazione di albi ed elenchi, che “sembra essere un po’ sfuggita di mano. Bisogna riportare tutto – ha sottolineato – sotto il cappello del sistema ordinistico, riconoscendo l’equipollenza dei percorsi formativi e riducendo la quantità di ore da riservare alla formazione”.

Una battaglia, quest’ultima, su cui le professioni sono intenzionate a fare fronte comune. Prova ne sia la presenza, agli Stati generali, di Francesco Greco, Giulio Biino e Rosario De Luca, rispettivamente Presidenti di avvocati, notai e consulenti dei lavoro, tutti pronti a ricominciare un percorso unitario di rappresentanza a tutela delle professioni.

Ma l’assemblea di ieri è stata anche quella del ricordo di Nicoletta Golisano, Fabiana De Angelis e Antonio Novati, i commercialisti che negli ultimi mesi hanno perso la vita nello svolgimento delle loro funzioni. Con la voce rotta dall’emozione, il Presidente de Nuccio ha annunciato l’istituzione di tre borse di studio e consegnato delle targhe commemorative ai parenti delle tre vittime. Una cerimonia “dovuta”, anche per restituire il senso di appartenenza a una comunità che proprio in questi frangenti diventa più forte.

Bonus edilizi: istituiti i codici tributo per le opzioni esercitate dal 01/04/2023 e pronta la piattaforma per la rateizzazione in 10 anni

Con la RM 19/E del 02/05/2023, l’Agenzia delle Entrate ha istituito i codici tributo per l’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta, ceduti o fruiti come sconto in fattura, relativi a Superbonus, Sismabonus e Bonus barriere architettoniche, relativi alle opzioni inviate all’Agenzia delle entrate dal 1° aprile 2023.

Si premette che il c.d. DL “Aiuti-quater” (articolo 9, comma 4, Dl n. 176/2022), ha previsto la possibilità di beneficiare, previa comunicazione web alle Entrate, della rateizzazione lunga, cioè in 10 rate annuali di pari importo, delle quote non “spese” dei crediti edilizi relativi alle opzioni per la prima cessione o per lo sconto in fattura comunicate all’Agenzia delle entrate entro il 31 marzo 2023.

Si è reso necessario, pertanto, predisporre codici tributo “dedicati” alle comunicazioni delle opzioni inviate dal 1° aprile 2023 al fine di distinguere i crediti nelle successive fasi di ulteriore cessione o utilizzo in compensazione tramite modello F24.
Di conseguenza, ai codici tributo “7708” e “7718” previsti dalla risoluzione n. 71/2022 per la cessione del credito e lo sconto fattura, con la risoluzione odierna si aggiungono i seguenti identificativi:

• “7709” denominato “CESSIONE CREDITO – SUPERBONUS art. 119 DL n. 34/2020 – art. 121 DL n. 34/2020 – OPZIONI DAL 01/04/2023”
• “7719” denominato “SCONTO – SUPERBONUS art. 119 DL n. 34/2020 – art. 121 DL n. 34/2020 – OPZIONI DAL 01/04/2023”
• “7738” denominato “CESSIONE CREDITO – SISMABONUS art. 16 DL n. 63/2013 – art. 121 DL n. 34/2020 – OPZIONI DAL 01/04/2023”
• “7739” denominato “SCONTO – SISMABONUS art. 16 DL n. 63/2013 – art. 121 DL n. 34/2020 – OPZIONI DAL 01/04/2023”
• “7710” denominato “CESSIONE CREDITO – ELIMINAZIONE BARRIERE ARCHITETTONICHE art. 119-ter DL n. 34/2020 – art. 121 DL n. 34/2020– OPZIONI DAL 01/04/2023”
• “7740” denominato “SCONTO – ELIMINAZIONE BARRIERE ARCHITETTONICHE art. 119-ter DL n. 34/2020 – art. 121 DL n. 34/2020 – OPZIONI DAL 01/04/2023”.

I codici tributo istituiti con le risoluzioni n. 83/2020 e n. 71/2022 restano utilizzabili per identificare i crediti derivanti dalle opzioni in argomento comunicate fino al 31 marzo 2023, per le ipotesi e secondo le indicazioni riportate nei documenti di prassi richiamati.

Il provvedimento dello scorso 18 aprile , che ha definito le modalità attuative della rateizzazione lunga in 10 rate annuali dei crediti derivanti da cessione o sconto comunicata entro il 31 marzo 2023, ha tra l’altro stabilito che ciascuna nuova rata annuale derivante dalla ripartizione della rata originaria può essere utilizzata esclusivamente in compensazione tramite modello F24, dal 1° gennaio al 31 dicembre del relativo anno di riferimento, e non può essere ceduta a terzi, né ulteriormente ripartita.
Ciò premesso, allo scopo di distinguere le rate annuali dei crediti risultanti dalla ripartizione della rata originaria, sono istituiti i seguenti codici tributo:
• “7771” denominato “SUPERBONUS art. 119 DL n. 34/2020 – art. 121 DL n. 34/2020 – FRUIZIONE IN DIECI RATE – art. 9, c. 4, DL n. 176/2022”
• “7772” denominato “SISMABONUS art. 16 DL n. 63/2013 – art. 121 DL n. 34/2020 – FRUIZIONE IN DIECI RATE – art. 9, c. 4, DL n. 176/2022”
• “7773” denominato “ELIMINAZIONE BARRIERE ARCHITETTONICHE art. 119-ter DL n. 34/2020 – art. 121 DL n. 34/2020 – FRUIZIONE IN DIECI RATE – art. 9, c. 4, DL n. 176/2022”.

I crediti in questione sono utilizzabili soltanto in compensazione tramite modello F24 presentato esclusivamente tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate. I codici tributo trovano posto nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, oppure, in caso di riversamento del credito compensato, nella colonna “importi a debito versati”.

In fase di elaborazione delle deleghe di pagamento ricevute, precisa la risoluzione, sulla base dei dati risultanti dalle comunicazioni delle opzioni e dalle eventuali successive cessioni, nonché dalla ripartizione, l’Agenzia effettua controlli automatizzati per verificare che la somma utilizzata in compensazione da ciascun soggetto non superi la quota disponibile per ciascuna annualità, pena lo scarto del modello F24. Il rifiuto del pagamento è comunicato tramite apposita ricevuta consultabile tramite i servizi telematici dell’Agenzia.
Al riguardo, le Entrate evidenziano che nel campo “anno di riferimento” del modello F24 deve essere indicato l’anno in cui è utilizzabile in compensazione la rata annuale del credito, nel formato “AAAA”.

Disponibili le procedure operative nella piattaforma – A partire da ieri 02/05/2023, l’Agenzia ha messo a punto le correlate funzioni del servizio web denominato “Piattaforma cessione crediti” per mezzo delle quali i titolari del credito, fornitori che hanno applicato lo sconto o cessionari del credito d’imposta derivante dall’opzione ex art. 121 del DL 34/2020 (anche per cessione successiva alla prima), possono trasmettere telematicamente la comunicazione necessaria per procedere alla predetta rateazione in dieci anni, nonché effettuare un’interrogazione delle comunicazioni di rateazione effettuate.

Si ricorda che sino al 2 luglio 2023 potrà aderire per l’utilizzo in 10 rate soltanto il titolare del credito d’imposta, mentre dal 3 luglio 2023 potrà trasmettere la comunicazione anche un intermediario ex art. 3 comma 3 del DPR 322/98, dotato di delega alla consultazione del cassetto fiscale del titolare dei crediti.

Nel manuale si richiama che tale ripartizione in dieci anni può riferirsi alla quota residua delle rate dei crediti d’imposta che siano riferite:
• agli anni 2022 e seguenti, per i crediti derivanti dalle comunicazioni di opzione inviate fino al 31 ottobre 2022, per gli interventi agevolati con superbonus (identificati con codici tributo 6921, 7701 e 7711);
• agli anni 2023 e seguenti, per le comunicazioni di opzione inviate dal 1° novembre 2022 al 31 marzo 2023, per gli interventi agevolati con superbonus (codici tributo 7708 e 7718), o per le comunicazioni di opzione inviate fino al 31 marzo 2023, relative o sismabonus (codici tributo 6923, 7703 e 7713) o bonus barriere 75% (codici tributo 7707 e 7717).

La ripartizione in dieci rate annuali, decorrenti dall’anno successivo a quello di riferimento della rata originaria, può riguardare la quota residua di ciascuna rata annuale dei crediti d’imposta di cui sopra, non utilizzata in compensazione tramite F24, anche se acquisita a seguito di cessioni successive alla prima.

Inoltre, la comunicazione per la rateazione può riferirsi anche solo ad una frazione della rata del credito disponibile al momento della trasmissione (in questa ipotesi andrà modificato il campo “importo da rateizzare” presente nella piattaforma): la restante parte della rata, nonché gli eventuali ulteriori crediti acquisiti, potranno essere rateizzati con successive comunicazioni, anche in più soluzioni.

A seguito della conferma della volontà di procedere alla rateizzazione della quota annuale del credito d’imposta selezionata (per l’importo indicato), la piattaforma genera un prospetto riepilogativo, ove vengono riportate le nuove dieci rate in cui sarà suddiviso l’importo della quota originaria, con l’indicazione, per ciascuna rata, dell’anno di riferimento, dell’importo, del termine entro il quale può essere utilizzata in compensazione (ciascuna rata è fruibile in compensazione dal 1° gennaio al 31 dicembre dell’anno di riferimento) e del codice tributo che la identifica.

ALBO DEI COMMERCIALISTI A CRESCITA ZERO

Dal Rapporto 2022 sulla professione l’allarme sul calo degli iscritti. Confermato l’aumento quasi in doppia cifra dei redditi medi

Gli iscritti all’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili non crescono più, anzi, se si esclude la sezione B, sono addirittura in diminuzione. Il dato allarmante sulle tendenze demografiche della categoria è contenuto nel Rapporto 2022 sulla professione, diffuso ieri da Consiglio e Fondazione nazionale dei commercialisti.

Stando ai numeri della ricerca, il totale degli iscritti rimane sopra le 120 mila unità, ma i dottori commercialisti sono in calo dello 0,2%, mentre gli esperti contabili crescono del 9,5%, arrivando alle 2.178 unità. La riduzione dei nuovi iscritti era divenuta una costante negli ultimi 5 anni, ma seppur di pochi decimali, un aumento c’era sempre stato (+0,8% nel 2021).

Nel 2022, invece, ci si è fermati allo 0,01% (+ 12 unità), a cui si aggiunge il -8,4% degli iscritti al Registro praticanti, che in un anno ha perso 1.174 unità. Il calo maggiore si è registrato al Sud (-0,6%) e sulle isole (-0,5%), mentre il Nord rimane in territorio positivo ma comunque con un rallentamento significativo rispetto al tasso di crescita dell’anno precedente (dal +1,2% al +0,6%). A guidare la crescita al Nord è la Lombardia con il +0,8% (163 iscritti in più), mentre la Regione che perde più commercialisti è la Puglia (-0,9%).

Sul lungo periodo, la tendenza demografica degli iscritti rimane comunque più positiva rispetto a quello della popolazione complessiva. In quindici anni, infatti, gli iscritti all’Albo sono aumentati di 12.782 unità (+11,9% dal 2007), mentre nello stesso periodo la popolazione italiana è diminuita dello 0,3% e le imprese attive dello 0,9%. Ciò ha impattato anche sia sul rapporto tra popolazione e iscritti, passato in quindici anni da 555 cittadini per ogni commercialista a 489, sia su quello con le imprese attive (da 48 imprese ogni commercialista a 43).

Un minor numero di nuovi iscritti significa anche che l’età media dei professionisti tende a crescere più rapidamente. A fine 2022, infatti, gli under 40 erano il 17,1% del totale, contro il 17,6% dell’anno precedente. Numeri negativi anche per ciò che riguarda la componente femminile, che in un anno perde un punto percentuale (dal 34,7 al 33,7%).

Le statistiche relative ai redditi, invece, confermano il balzo in avanti già annunciato due settimane fa dalla Cassa di previdenza dei dottori commercialisti (si veda “Nel 2021 redditi medi dei commercialisti su del 9%” del 21 aprile). I numeri forniti dalla CDC prendevano in considerazione solo la propria popolazione di riferimento, ma aggiungendo anche la componente ragionieri i risultati non cambiano di molto.

Il reddito medio è aumentato del 9,3% ed è risultato pari a 68.073, quello mediano, ovvero il reddito che divide in due la distribuzione dei redditi individuali, è aumentato del 10,5%, arrivando a 39.249 euro. Il rapporto tra il reddito mediano e il reddito medio è leggermente aumentato portandosi al 57,7%. I dottori commercialisti hanno dichiarato un reddito medio di 74.330 euro (+9,3% sul 2021), mentre i ragionieri si sono fermati a 53.078 euro di media (+8,5%).

A livello territoriale, permane la marcata differenza tra Nord e Sud, ma il gap va riducendosi. I redditi, infatti, sono cresciuti di più nella parte meridionale del Paese (+12,5%) rispetto all’area settentrionale (+8,8%). In ogni caso, il reddito medio del Nord rimane 2,4 volte quello del Sud, rapporto che arriva a 4,1 se si considerano le due Regioni con il reddito più elevato (Trentino-Alto Adige, con 126.004 di media) e più basso in assoluto (Calabria, 30.624 euro).

“Il dato sulla demografia professionale – commenta il Presidente del CNDCEC, Elbano de Nuccio, che questa mattina a Roma aprirà gli Stati generali della categoria – impone certamente una riflessione, ma si inserisce nel ben più drammatico tema demografico generale del nostro Paese, di cui oggi si prende finalmente atto con la dovuta attenzione. Non c’è settore economico e professionale maturo, in Italia, al netto di rare e circoscritte eccezioni, in cui non stiano venendo a mancare le braccia e i cervelli che servono per garantire un adeguato ricambio generazionale”.

Consapevole di questa situazione, il Consiglio nazionale ha avanzato proposte in tema sia di aggregazioni che di specializzazioni. “Sul fronte delle aggregazioni – aggiunge de Nuccio – chiederemo al Governo, insieme alle altre Professioni, uno sforzo di fantasia, anche nell’ambito dell’attuazione della delega per la riforma del sistema fiscale. Sul fronte delle specializzazioni, cercheremo di spingere e accompagnare un percorso che è fondamentale per cogliere anche le nuove opportunità; ma cercheremo anche di difendere i colleghi dalla crescente e insopportabile burocrazia che deriva dalla moltiplicazione di registri e sottosezioni di registri, con correlati obblighi formativi di pura quantità, invece che di vera qualità”.

Servizi sostitutivi di mensa aziendale – Trattamento ai fini IVA, IRPEF, IRES e IRAP

Con la risposta 301 del 21/04/2023, l’Agenzia delle Entrate – riprendendo in parte i chiarimenti forniti con la risposta 430/2022 – ha fornito chiarimenti sul trattamento ai fini IVA, IRPEF, IRES e IRAP di alcuni servizi sostitutivi di mensa aziendale, forniti avvalendosi di esercizi commerciali convenzionati, presso i quali è possibile pagare con una card elettronica oppure tramite una “app”.

Si chiarisce che:
• in relazione a tale fattispecie, trova applicazione l’aliquota del 4% prevista dal n. 37) della Tabella A, parte II, allegata al DPR 633/72, qualora siano ravvisabili le peculiari modalità che caratterizzano il servizio sostitutivo di mensa aziendale o quello di mensa diffusa.
• In tale circostanza, l’aliquota sarebbe applicabile alla prestazione resa dagli esercenti ristoratori nei confronti del datore del lavoro, per il quale l’imposta sarebbe detraibile secondo l’art. 19-bis1 comma 1 lett. f) del DPR 633/72.

Fattura differita – Si chiarisce – in relazione alla certificazione dei corrispettivi da parte degli esercenti – che risulta possibile il ricorso alla fattura differita, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione, in ragione dell’art. 21 comma 4 lett. a) del DPR 633/72. Si specifica che l’ammontare dei corrispettivi per le prestazioni documentate con il c.d. “documento commerciale” con dicitura “non riscosso” richiedono di essere mantenute distinte dall’ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri, poiché i medesimi concorrono alle liquidazioni periodiche attraverso le corrispondenti fatture differite.

Deducibilità IRES e IRAP – Per quanto riguarda il trattamento ai fini IRES, si chiarisce che suddetti servizi sono interamente deducibili, fermo restando il rispetto dei principi generali di inerenza e di previa imputazione a Conto economico. Sul presupposto che tali servizi, resi mediante “app”, siano assimilabili a quelli sostitutivi di mensa aziendale, i costi a essi afferenti rappresentano un onere per l’acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande e, di conseguenza, non subiscono le limitazioni alla deducibilità previste dall’art. 109 comma 5 del TUIR.

Tali spese risultano deducibili anche ai fini IRAP, in base al principio della c.d. “presa diretta” della base imponibile dal bilancio.

Trattamento IRPEF – Per quanto riguarda il trattamento IRPEF in capo al dipendente che fruisce di tali servizi, se la società intende offrire ai propri dipendenti un servizio di mensa diffusa, modificando in tal senso i relativi contratti con l’eliminazione del riferimento al “servizio sostitutivo di mensa aziendale” o stipulando nuovi contratti con altri soggetti, ai sensi dell’art. 51 comma 2 lett. c) del TUIR, l’importo del pasto non concorrerà a formare il reddito imponibile.

Per il 2023 soglia dei fringe benefit a 3.000 euro ma solo con figli a carico

La bozza del DL “Lavoro”, approvato dal Consiglio dei Ministri lunedì, contiene una disposizione denominata “Misure fiscali per il welfare aziendale” che innalza per il 2023 la soglia di non imponibilità dei fringe benefit a 3.000 euro, ma solo per i lavoratori dipendenti con figli a carico. Resta quindi ferma per i dipendenti senza figli a carico l’ordinaria soglia di 258,23 euro.

Si ricorda che, a norma dell’art. 51 comma 1 del TUIR, il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro (c.d. “principio di onnicomprensività”). I beni e servizi forniti al dipendente diversi dalle somme in denaro vengono individuati con il termine fringe benefit dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria.
Il comma 3 (terzo periodo, prima parte) dell’art. 51 del TUIR stabilisce, tuttavia, che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se, complessivamente, di importo non superiore a 258,23 euro nel periodo d’imposta.

Tale soglia di non imponibilità era stata raddoppiata a 516,46 euro per il 2020 e per il 2021 (cfrart. 112 del DL 104/2020 e art. 6-quinquies del DL 41/2021); per il 2022 era stata innalzata dapprima a 600 euro e poi a 3.000 euro, includendo anche le somme erogate o rimborsate ai dipendenti dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale (art. 12 del DL 115/2022, come modificato dall’art. 3 comma 10 del DL 176/2022; cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 35/2022).
L’innalzamento della soglia previsto negli ultimi anni è sempre stato riconosciuto a tutti i lavoratori dipendenti, senza alcuna distinzione.

Il DL “Lavoro” ora incrementerebbe anche per il 2023 la suddetta soglia a 3.000 euro, subordinando però tale aumento alla condizione che il dipendente abbia figli a carico.

Nello specifico, stando al testo in bozza, sarebbe previsto che “Limitatamente al periodo d’imposta 2023, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo” del TUIR “non concorrono a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli a carico, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale entro il limite complessivo di euro 3.000”.

Pertanto, per il solo 2023, la disciplina dettata dall’art. 51 comma 3 del TUIR verrebbe modificata per i soli lavoratori dipendenti con figli a carico come segue:
– tra i fringe benefit concessi ai lavoratori sarebbero incluse anche le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale;
– il limite massimo di non concorrenza al reddito di lavoro dipendente dei beni ceduti e dei servizi prestati, nonché delle somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche, sarebbe innalzato da 258,23 euro a 3.000 euro.

Fermo restando che il testo della disposizione fa generico riferimento ai “figli a carico”, a livello sistematico dovrebbero intendersi i figli fiscalmente a carico ai sensi dell’art. 12 comma 2 del TUIR. In base a tale disposizione, i figli sono considerati fiscalmente a carico se non superano i 24 anni di età e se hanno percepito nell’anno un reddito pari o inferiore a 4.000 euro; se superano i 24 anni sono considerati a carico se hanno percepito un reddito complessivo annuo non superiore a 2.840,51 euro.

Tanto premesso, per il 2023 sussisterebbero quindi due soglie per la non imponibilità dei fringe benefit, con ambito oggettivo di applicazione differente:
– per i dipendenti senza figli a carico, la soglia ordinaria di 258,23 euro riconosciuta dall’art. 51 comma 3 del TUIR per i beni ceduti e i servizi prestati ai dipendenti (non anche per le somme relative alle utenze domestiche);
– per i dipendenti con figli a carico, la soglia di 3.000 euro, con possibilità di includervi anche le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

In entrambi i casi, il superamento della soglia comporterebbe la tassazione dell’intero importo e non solo dell’eccedenza.
Ciò considerando che la nuova disposizione sarebbe prevista, con una formulazione analoga a quella del 2022, in deroga solo alla prima parte del terzo periodo del comma 3 dell’art. 51 del TUIR, e non anche della seconda parte in base alla quale “se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.

Si ricorda che, in aggiunta alla suddetta soglia dei fringe benefit (3.000 euro per i dipendenti con figli a carico, 258,23 per gli altri), rileva il “bonus carburante” di 200 euro, riconosciuto per il 2023 a tutti i dipendenti, senza distinzioni (art. 1 comma 1 del DL 5/2023).

Definizione agevolata avvisi bonari solo per le rateazioni in corso al 01/01/2023

Con la risposta a interpello 307 del 27/04/2023, l’Agenzia delle Entrate si è espressa sull’applicabilità dell’istituto della “definizione agevolata degli avvisi bonari” ex art. 1, c. 153 – 155, L. 197/2022 (Legge di bilancio 2023, nel seguente particolare caso:
• presentazione Modello 770/2018 (periodo d’imposta 2017) il 30/10/2018 (presentazione nei termini);
• presentazione di dichiarazione integrativa del suddetto modello il 23/11/2020;
• ricezione avviso bonario ex art. 36-bis, DPR 600/1973 il 02/11/2022;
• a seguito delle informazioni fornite dal contribuente – il 23/01/2022 è stata emessa la comunicazione definitiva degli esiti, contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute;
con conseguente pagamento della prima rata il 21/02/2023, adottando un piano di rateazione di 20 rate.
In relazione al caso prospettato si premette che:

Ai fini dell’applicazione al caso in esame dell’istituto disciplinato dalla Legge di bilancio 2023, è necessario verificare
• se risulti applicabile il c. 153 e, pertanto, la comunicazione di irregolarità ricevuta si riferisca ai periodi d’imposta 2019, 2020 e 2021.
• se risulti applicabile il c. 155 e, in particolare, se risulti rispettato il seguente requisito: al 01/01/2023 ➙ esistenza di un piano di rateazione in corso.

Sul tema delle “rateazioni in corso), la CM 1/E/2023 ha chiarito che «Per rateazioni in corso al 1° gennaio 2023 si intendono le rateazioni regolarmente intraprese in anni precedenti (a prescindere dal periodo d’imposta), per le quali, alla medesima data, non si è verificata alcuna causa di decadenza ai sensi dell’articolo 15-ter del DPR n. 602 del 1973”.

La rateazione restante al 01/01/2023 rappresenta il quantum su cui calcolare le sanzioni in misura ridotta (3%).

Ciò detto, in riferimento al caso di specie, NON risulta applicabile l’istituto della “definizione agevolata degli avvisi bonari” ex art. 1, c. 153 – 155, L. 197/2022 (Legge di bilancio 2023), per le ragioni di seguito evidenziate:

Agevolazioni per il ricercatore che rientra percependo un assegno di ricerca

Con il principio di diritto n. 8 del 21/04/2023 aprile 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sul regime che prevede la detassazione del 90% dei redditi di docenti e ricercatori che rientrano in Italia, con l’acquisizione della residenza, dopo aver trascorso un periodo di almeno due anni all’estero (articolo 44 del Dl n. 78/2010).

I chiarimenti vengono resi con riferimento a docenti e ricercatori di cui all’art. 44 del DL 78/2010, con riferimento:
• alla percezione di assegni di ricerca, esenti da IRPEF ex art. 22 della L. 240/2010;
• occasione dell’ingresso o del rientro in Italia, prima dell’assunzione.

L’art. 24 c.3 lett. b) della L. 240/2010 stabiliva, infatti, che lo svolgimento dell’attività di ricerca per effetto della corresponsione del citato assegno di ricerca può anche risultare propedeutico alla successiva stipula di contratti di lavoro (retribuiti con redditi tassabili e pertanto agevolabili) con ricercatori e docenti provenienti dall’estero che, altrimenti, avrebbero dovuto essere già in possesso di un titolo di
dottorato estero dichiarato equivalente o equipollente al titolo italiano o avrebbero dovuto aver acquisito più anni di rilevante esperienza lavorativa successivamente al conseguimento del titolo.

In tale contesto, evidenzia l’Agenzia, la percezione degli assegni di ricerca in questione, in occasione dell’ingresso o del rientro in Italia prima della successiva assunzione può rappresentare uno dei requisiti per la stipula di contratti di ricerca e docenza rientranti nell’ambito dell’art. 44 del DL 78/2010, non risultando ostativa la circostanza che i suddetti assegni siano esenti da IRPEF.

In tal caso, la durata del periodo di godimento delle agevolazioni verrà computata a partire dal periodo d’imposta di ingresso o rientro in cui il contribuente interessato acquisirà la residenza fiscale in Italia che, nel caso specifico, deve essere in connessione con l’avvio dell’assegno di ricerca di cui all’art. 22 della L. 240/2010.