Annullamenti di opzioni con crediti già ceduti a terzi in cerca di conferme ufficiali

La possibilità di annullare una comunicazione di opzione ex art. 121 del DL 34/2020, viziata da un errore sostanziale, è pacifica quando i crediti d’imposta che da essa derivano sono già stati accettati dal fornitore/primo cessionario, ma da questi ultimi non sono ancora stati ceduti a terzi.

La prassi dell’Agenzia delle Entrate ha però chiarito che la possibilità di annullare una comunicazione di opzione viziata da un errore sostanziale sussiste anche nel caso in cui il fornitore/primo cessionario, che ha accettato i crediti d’imposta che da essa derivano, abbia anche già iniziato a utilizzarli in compensazione sul modello F24 (per un approfondimento si veda l’apposita Scheda di aggiornamento).

In particolare, la risposta a interpello 14 giugno 2023 n. 348, affrontando il caso di un annullamento necessitato dall’errata indicazione del codice fiscale del beneficiario nella comunicazione di opzione di sconto sul corrispettivo, ha ammesso la possibilità di procedervi anche se, nel mentre, il fornitore, che aveva optato congiuntamente al beneficiario, aveva già utilizzato in compensazione sul modello F24 parte della prima quota annuale del credito d’imposta che aveva accettato.

Resta ben inteso che, in tale caso, l’annullamento della comunicazione comporta l’obbligo di riversamento all’Erario delle somme utilizzate in compensazione, da parte del primo cessionario/fornitore, con applicazione del correlato carico sanzionatorio.

Sul punto, peraltro, la risposta a interpello n. 348/2023 ha chiarito che tale carico sanzionatorio non è quello dal 100% al 200% di cui al comma 5 dell’art. 13 del DLgs 471/97 per l’ipotesi di utilizzo di crediti inesistenti, bensì quello del 30% (con possibilità di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso) di cui al precedente comma 4 per l’ipotesi di utilizzo di crediti non spettanti, se, come nel caso oggetto della risposta (errore sul codice fiscale del beneficiario), l’annullamento non riguarda l’esistenza stessa dei crediti d’imposta per un ammontare che copre gli utilizzi in compensazione già effettuati e viene presentata una nuova comunicazione di opzione corretta che consente appunto di considerare “solo” non spettanti, anziché inesistenti, i crediti già utilizzati in compensazione nelle more dell’annullamento e della presentazione della nuova comunicazione.

Nessuna indicazione risulta invece essere stata diramata a oggi dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate con riguardo alla possibilità di annullare una comunicazione di opzione viziata da un errore sostanziale qualora il fornitore/primo cessionario, che ha accettato i crediti d’imposta che da essa derivano, li abbia già ceduti, in tutto o in parte, a un terzo che li abbia a sua volta accettati sulla Piattaforma cessione crediti.

L’assenza di indicazioni ufficiali rende facilmente pronosticabile un rigetto da parte degli uffici delle richieste di annullamento in tali contesti operativi.
Tuttavia, se nella PEC, con cui le parti devono comunicare all’Agenzia delle Entrate la richiesta di annullamento della comunicazione di opzione (circ. 6 ottobre 2022 n. 33, § 5.3), venissero allegati due distinti modelli di istanze di annullamento (la prima compilata e sottoscritta dal beneficiario e dal primo cessionario/fornitore e la seconda compilata e sottoscritta dal primo cessionario/fornitore e dal terzo acquirente), non vi sarebbe davvero alcuna valida ragione per negare la domanda di annullamento, stante l’espresso consenso di tutti i soggetti coinvolti.

Resta inteso che, anche in questo caso, il terzo acquirente, ove avesse già iniziato a utilizzare in compensazione sul modello F24 i crediti d’imposta acquisiti presso il primo cessionario/fornitore, sarebbe obbligato al loro riversamento con il corredo sanzionatorio in precedenza illustrato.

Sul punto, non resta dunque che auspicare che l’Agenzia delle Entrate, dopo aver ottimamente chiarito, seppure con riguardo a un caso specifico, la sussistenza della possibilità di annullare una comunicazione di opzione anche se i crediti d’imposta che da essa derivano hanno già iniziato a essere utilizzati in compensazione sul modello F24 dal primo cessionario/fornitore che li ha accettati, chiarisca la sussistenza di tale possibilità anche nel diverso caso in cui il primo cessionario/fornitore che li ha accettati li abbia già in tutto o in parte ceduti a terzi, fermo restando il necessario coinvolgimento di detti terzi nella formale richiesta di annullamento della comunicazione da cui i crediti d’imposta derivano.

Intrasferibili le rate residue di bonus barriere 75% e bonus mobili

Quando un immobile che è stato oggetto di interventi “edilizi” per i quali spetta una detrazione fiscale viene trasferito, anche le quote residue di detrazione non ancora fruite possono essere a loro volta trasferite.

Le disposizioni normative che prevedono il trasferimento delle rate residue di detrazione non fruite sia in caso di vendita dell’immobile (comprese le ipotesi de cessione gratuita quale, ad esempio, la donazione), sia in caso di decesso del titolare dell’immobile, sono:
– l’art. 16-bis comma 8 del TUIR, per quanto concerne la detrazione IRPEF per interventi di recupero edilizio (c.d. “bonus casa”) e il c.d. bonus verde, di cui all’art. 1 commi 12-15 della L. 205/2017 per espresso rinvio normativo. La disposizione, inoltre, pare possa trovare applicazione anche con riguardo al sismabonus per interventi di miglioramento sismico (sismabonus), di cui all’art. 16 del DL 63/2013 e al bonus per il rifacimento delle facciate, di cui all’art. 1 comma 219 – 223 della L. 160/2019 (bonus facciate);
– l’art. 9 comma 1 del DM 6 agosto 2020 “Requisiti”, con riguardo all’ecobonus per interventi di riqualificazione energetica. I medesimi principi si applicano nell’ambito del superbonus di cui all’art. 119 del DL 34/2020 (circ. Agenzia delle Entrate 8 agosto 2020 n. 24, § 4. Per un approfondimento si veda il Quaderno n. 170).

I bonus per i quali non sono previste le suddette disposizioni inerenti il loro trasferimento sono:
– il bonus per l’eliminazione delle barriere architettoniche (c.d. “bonus barriere 75%”), di cui all’art. 119-ter del DL 34/2020. La circ. n. 17/2023 ha infatti affermato che, “in assenza di specifiche disposizioni, la detrazione non utilizzata in tutto o in parte non si trasferisce in caso di decesso del contribuente che ha sostenuto le relative spese” e che “la detrazione non si trasferisce neanche in caso di cessione dell’immobile oggetto di intervento, in quanto, in tale caso il contribuente che ha sostenuto la spesa può continuare a fruire delle quote di detrazione non utilizzate” (si veda “Bonus barriere 75% anche per gli interventi su singole unità immobiliari” del 4 luglio 2023);
– il c.d. “bonus mobili”, di cui all’art. 16 comma 2 del DL 63/2013 (circ. Agenzia delle Entrate 24 aprile 2015 n. 17, § 4.6).

DETRAZIONE SPETTANTE ANCHE DOPO LA VENDITA

Sia per il “bonus barriere 75%” che per il “bonus mobili”, quindi, la detrazione continuerà ad essere fruita dal beneficiario originario della stessa anche successivamente alla vendita dell’immobile oggetto degli interventi, senza possibilità di poter prevedere il trasferimento delle rate residue all’acquirente. Il bonus mobili, inoltre, permane in capo al venditore dell’immobile anche se sono state trasferite all’acquirente le restanti rate della detrazione IRPEF delle spese per il recupero del patrimonio edilizio, di cui all’art. 16-bis del TUIR.

Allo stesso modo, nel caso di decesso del contribuente, la detrazione (riferita al “bonus barriere 75%” e al “bonus mobili”) non utilizzata in tutto o in parte, non si trasferisce agli eredi per i rimanenti periodi di imposta (tra le altre, circ. Agenzia delle Entrate 24 aprile 2015 n. 17, § 4.6 e circ. Agenzia delle Entrate 26 giugno 2023 n. 17).

Slitta al 2024 l’invio telematico dei dati contenuti nelle schede per la destinazione dell’8, del 5 e del 2 per mille

Con il Provv. n. 155303 del 16/05/2023 – emanato in attuazione dell’art. 17 c.1 del DM 31/05/199 n. 164 – l’Agenzia delle Entrate ha definito le modalità di trasmissione delle schede con le scelte di destinazione dell’otto, cinque e due per mille dell’IRPEF (modelli 730-1), da parte dei sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale nell’anno 2023.

Ciascun contribuente può decidere di destinare una percentuale dell’IRPEF pari al 5, all’8 e al 2 per mille, ovvero:
• l’8 per mille allo Stato o a confessioni religiose che abbiano stipulato il protocollo d’intesa (a decorrere dal periodo d’imposta 2022, l’8 per mille dell’IRPEF può essere destinato anche all’Associazione “Chiesa d’Inghilterra” per finalità di culto, istruzione, assistenza e beneficienza);
• il 2 per mille a partiti politici iscritti nel registro dei partiti che hanno fatto richiesta di essere ammessi alla ripartizione ovvero ad associazioni culturali iscritte all’elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
• il 5 per mille a organizzazioni no profit.

I sostituti d’imposta che comunicano ai propri sostituiti, entro il 15 gennaio di ogni anno, di voler prestare loro assistenza fiscale provvedono a:
• controllare la regolarità formale dalla dichiarazione presentata, anche in relazione alle disposizioni che stabiliscono limiti alla deducibilità degli oneri, alle detrazioni ed ai crediti di imposta;
• consegnare al sostituito, prima dell’invio della dichiarazione, copia della stessa elaborata ed il corrispondente prospetto di liquidazione;
• trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate, le dichiarazioni elaborate, i relativi prospetti di liquidazione e i dati contenuti nelle schede relative alle scelte dell’8, del 5 e del 2 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, secondo le modalità stabilite con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, entro:
– il 15 giugno di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente entro il 31 maggio;
– il 29 giugno di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 1° al 20 giugno;
– il 23 luglio di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 21 giugno al 15 luglio;
– il 15 settembre di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 16 luglio al 31 agosto;
– il 30 settembre di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 1° al 30 settembre;
• comunicare all’Agenzia delle Entrate in via telematica entro i termini sopra indicati, il risultato finale delle dichiarazioni.

i confermano la modalità di trasmissione previste per le schede trasmesse l’anno scorso (modelli 730-1 relativi al periodo d’imposta 2021), di cui al Provv. 11185 del 14/01/2022.
Pertanto:
• i sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale;
• trasmettono le schede con le scelte di destinazione dell’otto, cinque e due per mille dell’IRPEF (modelli 730-1) all’Agenzia delle Entrate tramite un ufficio postale o un soggetto incaricato della trasmissione telematica (art. 3, c. 3, DPR 322/1998).

Si ricorda che l’art. 2 del DL 73/2022, modificando l’art. 37 c. 2-bis lett. c-bis) del DLgs. 241/97, aveva previsto la dematerializzazione, vale a dire la trasmissione telematica, delle schede relative alle scelte di destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF, in relazione ai sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale, che sarebbe dovuta decorrere da quest’anno in relazione alle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2022.

Rinvio al 2024 – La dematerializzazione prevista dall’art. 2 del DL 73/2022 (c.d. DL “Semplificazioni fiscali”) è stata rinviata al 2024 dall’art. 4 comma 2 del DL 51/2023.

I sostituti d’imposta devono consegnare ad un ufficio postale o ad un intermediario le schede per le scelte della destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF, modelli 730-1, contenute nell’apposita busta di cui all’Allegato 2 al provvedimento del 06/02/2023, pubblicato in pari dati sul sito internet dell’Agenzia delle entrate, di approvazione del modello 730/2023 e delle relative istruzioni, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dai contribuenti, ovvero in una normale busta di corrispondenza, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dal contribuente, avente le caratteristiche indicate nel punto 10.5 del provvedimento del 06/02/2023.

In alternativa, è possibile utilizzare una normale busta di corrispondenza, nella quale si indicano le seguenti informazioni:
• la dicitura “Scelte della destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF”;
• il cognome, il nome e il codice fiscale del dichiarante.

Nel caso in cui la dichiarazione sia presentata in forma congiunta, i due modelli 730-1 devono essere inseriti in due distinte buste, sulle quali devono essere riportate le suddette indicazioni riferite, rispettivamente, al dichiarante e al coniuge.

In entrambi i casi, le buste devono essere debitamente sigillate e contrassegnate sui lembi di chiusura dal contribuente.

In caso di consegna delle buste a un intermediario, i sostituti d’imposta utilizzano la bolla di consegna di cui all’Allegato 1 al provvedimento 34545/2023, nella quale si riportano i codici fiscali dei soggetti che hanno effettuato la scelta.

Qualora le buste vengano consegnate a un ufficio postale, non è necessario indicare nella suddetta bolla i codici fiscali. In questo caso, i sostituti d’imposta devono però raggruppare le buste in pacchi chiusi contenenti fino a cento pezzi. Su ciascun pacco, numerato progressivamente, deve essere apposta la dicitura “Modello 730-1” e devono essere indicati il codice fiscale, il cognome e il nome o la denominazione e il domicilio fiscale del sostituto d’imposta.

Gli uffici postali e gli intermediari sono tenuti a trasmettere tempestivamente in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati contenuti nelle schede ricevute dai contribuenti.

In ogni caso, gli intermediari devono inviare i dati entro il 31 luglio 2023 per le schede ricevute fino al 15/07/2023 ed entro il 15/10/2023 per le schede ricevute fino al termine di presentazione del modello 730/2023.

Avvisi bonari in ferie sino al 4 settembre

Il legislatore ha previsto una sospensione estiva per il pagamento degli avvisi bonari.
Rammentiamo che nella liquidazione automatica (artt. 36-bis del DPR 600/73 e 54-bis del DPR 633/72) e nel controllo formale (art. 36-ter del DPR 600/73) delle dichiarazioni al contribuente viene notificato un “avviso bonario”. Se egli ritiene, può versare gli importi (o la prima rata) entro 30 giorni, fruendo della riduzione delle sanzioni a un terzo o a due terzi, evitando la notifica della cartella di pagamento (vedasi gli artt. 2 e 3 del DLgs. 462/97; è ammesso il pagamento rateale alle condizioni del successivo art. 3-bis).

L’art. 7-quater comma 17 del DL 193/2016 stabilisce che sono sospesi dal 1° agosto al 4 settembre i termini per il pagamento delle somme da avviso bonario, di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 462/97 e 1 comma 412 della L. 311/2004 (è inclusa la liquidazione dei redditi soggetti a tassazione separata).
Quindi, il termine di 30 giorni, utile per fruire della definizione dell’avviso bonario, è sospeso dal 1° agosto al 4 settembre.

Così, se l’avviso bonario è ricevuto dal contribuente il 18 luglio, il pagamento dovrà avvenire entro il 21 settembre.
Trattasi di una sospensione un po’ più lunga della feriale, che va dal 1° agosto al 31 agosto di ogni anno.
Qualora l’avviso bonario sia notificato durante il periodo di sospensione (da inizio agosto al 4 settembre), dovrebbe iniziare a decorrere dal 5 settembre, sebbene sia opportuna una conferma della prassi.
Nessuna sospensione è prevista per il pagamento delle rate successive alla prima, accordate ai sensi dell’art. 3-bis del DLgs. 462/97.

Bisogna poi considerare l’art. 1 del DL 61/2023: per i soggetti che al 1° maggio 2023 avevano la residenza o la sede in uno dei territori individuati nell’allegato 1 al decreto, interessati dall’alluvione verificatasi nelle regioni Emilia-Romagna, Marche e Toscana, i termini di pagamento relativi a qualsiasi atto sono sospesi dal 1° maggio 2023 al 31 agosto 2023.
I termini sospesi, se si tratta di avvisi bonari, riprendono a decorrere dal 5 settembre, dovendosi considerare anche la richiamata pausa estiva (vedasi le FAQ del 28 giugno 2023).
Per quanto riguarda le rate successive alla prima, esse, se scadenti dal 1° maggio al 31 agosto, dovranno essere pagate entro il 1° settembre 2023.

Tornando alle sospensioni “nazionali”, non è prevista, almeno testualmente, alcuna sospensione per le richieste di documentazione a seguito di controllo formale della dichiarazione.
Segnaliamo che il CNDCEC, con l’Informativa n. 92 del 5 luglio 2023, ha comunicato che, in via informale, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che la trasmissione della documentazione relativa al controllo formale delle dichiarazioni dei redditi per il periodo d’imposta 2020 “potrà avvenire, senza conseguenze, anche nei primi quindici giorni di settembre”.

Il rinvio dovrebbe operare anche in relazione alle segnalazioni di anomalie relative ai modelli ISA per il triennio 2019-2021.

SITUAZIONE PARTICOLARE PER GLI ALLUVIONATI

C’è infine la sospensione ex art. 37 comma 11-bis del DL 223/2006: “i termini per la trasmissione dei documenti e delle informazioni richiesti ai contribuenti dall’Agenzia delle entrate o da altri enti impositori sono sospesi dal 1º agosto al 4 settembre, esclusi quelli relativi alle richieste effettuate nel corso delle attività di accesso, ispezione e verifica, nonché delle procedure di rimborso ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”.
Si dovrebbe trattare dei termini relativi alla restituzione di questionari, agli inviti a comparire e alle richieste di documenti ex art. 32 del DPR 600/73.

Proroga degli impatriati ancorata all’AIRE

Con risposta al question time n. 5-01137 del 19 luglio 2023, il MEF ha ribadito che, in considerazione del dettato normativo, possono accedere alla proroga del regime degli impatriati per un ulteriore quinquennio (art. 16 del DLgs. 147/2015) i soggetti iscritti all’AIRE o i cittadini Ue che abbiano trasferito la residenza prima del 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultassero beneficiari dell’agevolazione.
Pertanto, dovrebbero ritenersi in ogni caso esclusi dalla possibilità di esercizio dell’opzione coloro che, benché beneficiari al 31 dicembre 2019 del regime speciale per i lavoratori impatriati, non sono stati iscritti all’AIRE o sono cittadini extracomunitari.

L’impostazione si evince da un’interpretazione letterale dell’art. 1 comma 50 della L. 178/2020 che ha introdotto, all’art. 5 comma 2-bis del DL 34/2019, la possibilità, anche per i “vecchi” lavoratori impatriati, di prolungare il regime per ulteriori 5 periodi d’imposta (analogamente a quanto previsto dall’art. 16 comma 3-bis del DLgs. 147/2015 per i “nuovi” impatriati).
Tale norma riconosce, infatti, il beneficio dell’estensione ai “vecchi” impatriati “che siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea”. Di analogo tenore, il provv. Agenzia delle Entrate n. 60353/2021, attuativo della suddetta facoltà.

La formulazione in base alla quale, per i cittadini italiani, l’estensione risulterebbe condizionata all’iscrizione pregressa all’AIRE della persona è suscettibile di critiche alla luce del fatto che le Convenzioni internazionali, quale fonte sovraordinata, consentono di comprovare la residenza estera pregressa in base a canoni quali l’abitazione permanente e il centro degli interessi vitali. Gli stessi interroganti evidenziano come, ai fini dell’accesso al regime ordinario per i nuovi impatriati, l’iscrizione all’AIRE non rappresenti più un requisito indispensabile.

Infatti, mediante il comma 5-ter dell’art. 16 del DLgs. 147/2015, il legislatore ha riconosciuto la possibilità di fruire dell’agevolazione ordinaria anche in capo ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia dal 1° gennaio 2020, ferma restando la possibilità di comprovare il periodo di residenza all’estero sulla base delle Convenzioni contro le doppie imposizioni (risposta interpello Agenzia delle Entrate 25 novembre 2019 n. 495). Ciò vale, in base alla circ. Agenzia delle Entrate 28 dicembre 2020 n. 33, § 5, anche per i soggetti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia entro il periodo di imposta 2019 (cfr. anche risposta a interpello Agenzia delle Entrate 25 novembre 2019 n. 497).
Ciò nonostante, la necessaria iscrizione all’AIRE è stata più volte confermata dell’Agenzia ai fini dell’estensione temporale del beneficio (cfr., da ultimo, risposta a interpello 3 giugno 2022 n. 321), oltre che dalla risposta all’interrogazione parlamentare in commento.

Risulta altresì eccessivamente legata al dato formale della norma l’impostazione per cui, stando al dettato normativo, il prolungamento del periodo agevolato sarebbe, altresì, precluso ai cittadini non comunitari (e, da quanto emerge dal testo di legge, ai cittadini degli Stati appartenenti allo Spazio economico europeo).

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 172/2022, ha ammesso l’esercizio dell’opzione per la proroga da parte di un cittadino britannico in virtù del principio di non discriminazione di cui all’art. 12 dell’Accordo sul recesso del Regno Unito del 24 gennaio 2020. Inoltre, l’art. 24 del citato Accordo, facendo esplicito richiamo al regolamento Ue 492/2011 (relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione), garantisce ai cittadini del Regno Unito di godere degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.

Tale divieto di discriminazione, evidenzia l’Agenzia, è coerente con quanto previsto all’art. 25 paragrafo 1 della Convenzione tra l’Italia e il Regno Unito per evitare le doppie imposizioni secondo cui: “i nazionali di uno Stato contraente non sono assoggettati nell’altro Stato contraente ad alcuna imposizione od obbligo ad essa relativo, diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali di detto altro Stato che si trovino nella stessa situazione”.

Mediante questa presa di posizione l’Agenzia sembra superare il limite per cui alcune normative agevolative sono riservate alle persone residenti in uno Stato membro dell’Ue, fornendone un’interpretazione estensiva che, con riferimento alla circolazione dei lavoratori inglesi, trova fondamento in una norma specifica dell’accordo commerciale ma che, con riferimento cittadini di uno Stato non comunitario con cui è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni, troverebbe fondamento nel principio di non discriminazione in essa contenuto.

In altre parole, la preclusione dovrebbe riguardare soltanto i cittadini extracomunitari che siano cittadini di uno Stato con cui non è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni ovvero di uno Stato con cui è in vigore una Convenzione non recante il principio di non discriminazione.

La valorizzazione dei requisiti formali soprarichiamati non sembra in linea con la ratio di agevolare le persone fisiche che rientrano in Italia per svolgervi un’attività di lavoro e presta il fianco a non giustificabili discriminazioni basate sulla cittadinanza dei lavoratori.

Flat tax incrementale condizionata con inizio attività nel triennio 2020-2022

La flat tax incrementale, introdotta dalla L. 197/2022, e applicabile esclusivamente per il periodo di imposta 2023, consente, al ricorrere di determinate condizioni, di sottoporre una quota di reddito d’impresa o di lavoro autonomo prodotto nel 2023 a un’imposta sostitutiva pari al 15%.
Con la circ. n. 18/2023 l’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti in materia, soffermandosi sui profili soggettivi e oggettivi dell’agevolazione.
Secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 55 della L. 197/2022, l’imposta sostitutiva si applica sulla differenza, non superiore a 40.000 euro, tra il reddito d’impresa e di lavoro autonomo relativo al periodo d’imposta 2023 e il reddito d’impresa e di lavoro autonomo d’importo più elevato dichiarato con riferimento agli anni dal 2020 al 2022, decurtata di un importo pari al 5% di quest’ultimo ammontare.

Come diretta conseguenza di tale impostazione normativa vi è il fatto che i contribuenti che hanno iniziato l’attività nel 2023 non potranno mai beneficiare della flat tax incrementale, “attesa l’impossibilità di determinare l’incremento reddituale richiesto dalla norma stessa in assenza dei dati relativi al triennio precedente” (ciò sul presupposto che non sia stata esercitata alcuna attività d’impresa individuale o di lavoro autonomo negli anni 2020-2022 con una diversa partita IVA).

Secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la circ. n. 18/2023, inoltre, non è necessario che il contribuente abbia conseguito redditi per l’intero triennio di osservazione, essendo sufficiente lo svolgimento dell’attività di impresa o di lavoro autonomo per almeno un’intera annualità tra quelle del triennio 2020-2022.

Il fatto che venga richiesto lo svolgimento “per almeno un’intera annualità tra quelle del triennio di riferimento” esclude dalla tassazione in esame non solo i contribuenti che hanno iniziato l’attività nel 2023, ma anche quelli che hanno iniziato l’attività nel corso del 2022, sul presupposto che negli anni 2020 e 2021 non sia stata esercitata, in forma individuale, alcuna attività d’impresa o di lavoro autonomo con una diversa partita IVA. A tale condizione, infatti, il requisito dell’esercizio dell’attività per almeno un’intera annualità non verrebbe soddisfatto.

In altre parole, il contribuente che, ad esempio, ha iniziato l’attività di impresa il 1° giugno 2022 non disporrebbe di un’intera annualità confrontabile con quanto percepirà nel 2023; diverso è il caso in cui l’attività sia stata iniziata nel 2020 o nel 2021.
Il contribuente che ha iniziato l’attività, ad esempio, il 1° giugno 2021, dispone infatti di un intero periodo di imposta in cui l’attività viene svolta (il 2022); ai fini dell’individuazione dell’incremento di reddito 2023, sarà necessario considerare:
– il reddito prodotto nell’intero anno 2022;
– il reddito prodotto nella frazione d’anno 2021, ragguagliandolo all’intera annualità (reddito 2021/n° giorni x 365).

Vi possono quindi essere casi in cui il reddito prodotto nella frazione dell’anno di inizio dell’attività sia minore in valore assoluto rispetto al reddito prodotto nell’intero anno successivo, ma maggiore per effetto del ragguaglio ad anno.
L’Agenzia delle Entrate in merito propone il seguente esempio:
– inizio attività il 1° giugno 2021 (214 giorni di attività nel 2021);
– reddito 2021: 30.000 euro
– reddito 2021 ragguagliato ad anno, rilevante per la determinazione della flat tax incrementale: 51.168 euro [(30.000/214) x 365];
– reddito 2022 (intero periodo di imposta): 40.000 euro.
In tal caso il reddito da confrontare con quello prodotto nel 2023 ai fini della flat tax è quello del 2021, ragguagliato ad anno (51.168 euro).

ESCLUSO CHI HA INIZIATO L’ATTIVITA’ NEL CORSO DEL 2022

Una diversa ipotesi è quella del soggetto già in attività nel 2020 (es. come consulente informatico) che chiude l’attività (e la relativa partita IVA) nel 2021 e riapre una nuova posizione fiscale nel 2022 (es. nel commercio di computer). In questo caso, dovrebbero sussistere le condizioni per il calcolo dell’incremento reddituale in rapporto al 2023 atteso che l’attività è stata svolta per “almeno un’intera annualità” nel triennio 2020-2022 (nell’esemplificazione nel 2020).
Tale conclusione sembrerebbe trovare supporto nella circ. n. 18/2023 la quale, ai fini della determinazione dell’incremento reddituale, indica di tener conto dei dati indicati in precisi quadri del modello REDDITI PF, mentre non viene data rilevanza alla tipologia di attività cui il reddito si riferisce.

Il Governo chiude alla proroga dei versamenti con lo 0,40%

Nonostante le reiterate richieste degli addetti ai lavori, sembrano esserci sempre meno possibilità che venga concessa la proroga dei versamenti con maggiorazione dello 0,40% per soggetti ISA e forfetari. Dopo la chiusura dei giorni scorsi da parte del Viceministro al MEF Maurizio Leo, interpellato sulla questione a margine di un convegno, ieri la Sottosegretaria all’Economia Lucia Albano ha espresso la posizione ufficiale del Governo sul tema, ribadendo la sostanziale contrarietà allo spostamento della scadenza dal 31 luglio al 21 agosto.

Rispondendo a una interrogazione presentata da Federico Fenu (M5s) in Commissione Finanze della Camera, l’esponente dell’Esecutivo ha spiegato che lo scorso anno non c’è stato alcun differimento del termine, che è slittato al 22 agosto solo perché 30 e 31 luglio cadevano di sabato e domenica. La scadenza sarebbe slittata al 1° agosto ma per effetto dell’art. 37 comma 11-bis del DL 223/2006 (convertito con modificazioni in L. n. 248/2006), secondo cui tutti i versamenti previsti dal 1° al 20 agosto possono essere effettuati il 20 agosto senza maggiorazione, c’è stata una proroga automatica al 22 agosto (dato che 20 e 21 cadevano di sabato e domenica).

In più, ha aggiunto Albano, “nella complessiva valutazione della tematica, il Governo non può trascurare le necessità di coniugare le esigenze poste a fondamento delle rivendicazioni qui in rilievo con quelle di certezza dei rapporti tributari e degli ordinari flussi di cassa. Vale altresì aggiungere che le informazioni desumibili dai versamenti restano di fondamentale importanza per la tempestiva predisposizione delle previsioni delle entrate tributarie ai fini della NADEF, che il Governo presenterà entro il prossimo mese di settembre”.

In altre parole, la mancanza di adeguate coperture finanziarie, che la Ragioneria generale dello Stato aveva quantificato in 4,5 miliardi, e la necessità di avere tutti i dati per predisporre la Nota di aggiornamento al DEF, impongono di non accogliere la richiesta di proroga dei versamenti con maggiorazione, che pure era stata concessa per sei anni consecutivi ad esclusione del 2022.

Rimane, quindi, la proroga parziale disposta con i commi 3-sexies e 3-septies dell’art. 4 del DL 51/2023, convertito nella L. n. 87/2023 (pubblicata sulla G.U. del 5 luglio 2023 n. 155), che spostava a oggi, 20 luglio, il solo termine ordinario di versamento (inizialmente fissato al 30 giugno), tenendo fermo il termine del 31 luglio per i pagamenti con lo 0,40%.

La posizione del Governo, però, non convince l’Associazione nazionale commercialisti. Commentando la risposta fornita da Albano durante il question time in Commissione Finanze, il Presidente del sindacato, Marco Cuchel, sottolinea che se lo scorso anno la proroga non è stata concessa è stato solo per “una coincidenza di date, che ha fatto sì che il termine scivolasse per forza di cose al 20 agosto”, rendendola di fatto non necessaria.

Nonostante ciò, lo slittamento automatico del termine “non ha impedito la presentazione del NADEF nel mese di settembre 2022, come invece viene paventato per quest’anno, in caso di concessione della proroga. Inoltre, nonostante negli ultimi sei anni la proroga sia sempre stata concessa, il NADEF, o il suo equivalente, è sempre stato presentato nei tempi previsti”.

Per questo, l’associazione di categoria continua a sperare che “prevalga la ragionevolezza” e che, anche in virtù dell’Ordine del Giorno approvato la scorsa settimana in Aula alla Camera (si veda “Il Governo dovrà valutare la proroga dei versamenti con maggiorazione” del 13 luglio 2023), possa ancora esserci spazio per un ripensamento. Al momento, però, i margini sembrano essere davvero ridotti.

AUTOTRASPORTO – I BONUS CARBURANTE NEL “DECRETO LAVORO”

Il DL n. 48/2023 (cd. “Decreto Lavoro”), convertito con modificazioni dalla L. n. 85/2023, ha istituto dei crediti d’imposta per il settore:
– dell’autotrasporto di beni in conto proprio e in conto terzi
– delle imprese che esercitano servizi di trasporto passeggeri con autobus non soggetti ad obblighi di servizio pubblico
i cui fondi agevolativi erano stati stanziati dal DL n. 144/2022 (cd. “Decreto Aiuti-ter”) e della L. n. 197/2022 (“Legge di Bilancio 2023”).

AUTOTRASPORTO DI BENI – 1° E 2° TRIMESTRE 2022

Per quanto attiene il trasporto di beni le agevolazioni sono articolate come segue.

AUTOTRASPORTO “C/PROPRIO” – 1° TRIMESTRE 2022

L’art. 14 del D.L. 144/2022 (c.d. “Decreto Aiuti ter”) al fine di mitigare gli effetti economici derivanti dagli aumenti eccezionali dei prezzi dei carburanti, aveva autorizzato la spesa:
✓ di 100 milioni di euro per l’anno 2022
✓ da destinare, nel limite di 85 milioni di euro, al sostegno del settore dell’autotrasporto di merci di cui all’art. 24-ter, co. 2, lett. a), del D. Lgs n. 504/95.
Ora l’art. 34 del DL n. 48/2023 (“Decreto Lavoro”), in sede di conversione nella L. n. 85/2023, ha modificato il citato art. 14, rimodulando l’agevolazione nel modo che segue.

BENEFICIARI: il credito d’imposta spetta alle imprese
▪️ aventi sede legale o stabile organizzazione in Italia
▪️ esercenti l’attività di trasporto merci con veicoli di massa massima complessiva ≥ 7,5 t
▪️ munite della licenza di esercizio dell’autotrasporto di cose in c/proprio e iscritte nell’apposito elenco di cui all’art. 24-ter, co. 2, lett. a), n. 2), D.Lgs n. 504/95.

AMMONTARE DEL CREDITO: il credito spetta:
– nella misura massima del 28% della spesa sostenuta nel 1° trimestre 2022 (e, comunque nel limite massimo di quanto finanziato, pari a € 85 milioni)
– per l’acquisto di gasolio impiegato in veicoli, di categoria Euro 5 o superiore
– utilizzati nell’esercizio dell’attività (al netto IVA), comprovato mediante le relative fatture d’acquisto.

RISORSE RESIDUE: eventuali risorse che residuino a seguito del riconoscimento delle istanze avanzate, possono essere utilizzate per maggiorare la quota del credito d’imposta di cui al paragrafo che segue, a favore delle imprese di autotrasporto di beni c/terzi.

AUTOTRASPORTO DI BENI “C/TERZI” – 2° TRIMESTRE 2022

L’art. 1, co. 503, L. 197/2022 (“Legge di Bilancio 2023”) aveva stanziato un fondo di 200 milioni di euro per l’anno 2023 per l’istituzione di un contributo a riduzione degli effetti economici derivanti dall’aumento del costo del carburante per gli esercenti attività di autotrasporto merci.

Anche in questo caso, l’art. 34 del DL n. 48/2023 (“Decreto Lavoro”), in sede di conversione in legge, ha modificato la disciplina originariamente prevista dalla Legge di bilancio 2023.

BENEFICIARI: il credito è destinato alle imprese:
▪️ aventi sede legale o stabile organizzazione in Italia,
▪️ esercenti le attività di trasporto previste all’art. 24-ter, co. 2, lett. a), n. 1), del D. Lgs n. 504/95, cioè l’attività di trasporto merci c/terzi con veicoli di massa massima complessiva ≥ 7,5 t
▪️ iscritte nell’Albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi.

Risultano, pertanto, esclusi dalla disposizione in commento:
– gli esercenti attività di trasporto di persone (art. 24-ter, co. 2, lett. b), DLgs n. 504/95)
– le imprese munite della licenza di esercizio dell’autotrasporto di cose “in conto proprio”, iscritte nel relativo elenco (art. 24-ter, co. 2, lett. a), n. 2), DLgs n. 504/95)
– le imprese di autotrasporto c/terzi stabilite all’estero (anche nella UE – art. 24-ter, co. 2, lett. a), n. 3).

AMMONTARE DEL CREDITO: il credito spetta
– nella misura massima del 12% della spesa sostenuta nel 2 trimestre 2022,
– per l’acquisto del gasolio impiegato in veicoli, di categoria Euro 5 superiore
– utilizzati nell’esercizio dell’attività (al netto IVA), comprovato mediante le relative fatture d’acquisto.

UTILIZZO DEI CREDITI D’IMPOSTA

Entrambi i precedenti crediti d’imposta:
– sono utilizzabili esclusivamente in compensazione nel mod. F24, senza che operino i limiti di cui alla L. 388/2000 (€ 2 mil.) e L. 244/2007 (€ 250.000);
non sono tassati ai fini del reddito d’impresa/Irap (né rilevano ai fini del rapporto di deducibilità di cui agli artt. 61 e 109, co. 5, Tuir)
– sono cumulabili con altre agevolazioni che abbiano ad oggetto gli stessi costi

N.B.: i crediti d’imposta sono, pertanto, interamente cumulabili col bonus cd. “caro gasolio”, posto che, considerata la misura di quest’ultimo, la somma delle agevolazioni (inclusa la non imponibilità ai fini dei redditi/IRAP) non eccede il 100% del costo sostenuto per il gasolio utilizzato.

DECRETI ATTUATIVI
La norma istitutiva rinvia ad appositi Decreti del MIMS la disciplina di dettaglio (aliquota dell’agevolazione, modalità di presentazione dell’istanza, modalità di erogazione del contributo, ecc.) dei crediti d’imposta in esame.

AUTOTRASPORTO DI PERSONE – 2° SEMESTRE 2022

Come anticipato, l’art. 14 del DL n. 144/2022 (“Decreto Aiuti ter”) aveva autorizzato la spesa di 100 milioni di euro per l’anno 2022, destinata, nel limite di 15 milioni di euro, al sostegno del settore dei servizi:
✓ di trasporto di persone su strada
✓ del noleggio di autobus con conducente.
Ora l’art. 34, D.L. n. 48/2023, (c.d. “Decreto Lavoro”) conv. con modif. L. 85/2023 modificando il citato art. 14 rimodula l’agevolazione nel seguente modo.

BENEFICIARI

Il credito spetta alle imprese del settore dei servizi:
▪️ di trasporto di persone su strada resi ai sensi e per gli effetti del D.lgs 21 n. 285/2005
▪️ di trasporto di persone su strada resi ai sensi della L. n. 218/2003 (noleggio di autobus con conducente).

AMMONTARE DEL CREDITO

Il credito spetta
– nella misura massima del 12% della spesa sostenuta nel 2 semestre 2022, (e, comunque, nel limite massimo di quanto finanziato, pari a € 15 milioni)
– per l’acquisto di gasolio impiegato in veicoli, di categoria Euro 5 o superiore,
– utilizzati nell’esercizio dell’attività (al netto IVA), comprovato mediante le relative fatture d’acquisto.

UTILIZZO DEL CREDITO

Il credito
– è utilizzato esclusivamente in compensazione e non si applicano i limiti di cui alla L. 388/2000 (€ 2 mil.) e L. 244/2007 (€ 250.000);
non è tassato ai fini del reddito d’impresa e dell’Irap e non rileva ai fini del rapporto di deducibilità di cui agli artt. 61 e 109, co. 5, Tuir;
è cumulabile con altre agevolazioni che abbiano ad oggetto gli stessi costi (es: il citato bonus cd. “caro gasolio”) purché tale cumulo (considerata anche la non imponibilità ai fini dei redditi e dell’IRAP) non porti al superamento del costo sostenuto.

DECRETO ATTUATIVO
Anche per quest’ultimo credito d’imposta, la disciplina di dettaglio sarà disciplinata da apposito DM del MIMS.

In arrivo la sospensione feriale dei termini processuali

Si avvicina, anche per il processo tributario, la sospensione feriale dei termini processuali, che opera ogni anno per tutto il mese di agosto, per effetto dell’art. 1 della L. 742/69.
In sostanza, c’è una parentesi di 31 giorni che non deve essere considerata per qualsiasi termine, a condizione che abbia natura processuale.

Quindi, se l’avviso di accertamento, la cartella di pagamento o altro atto impositivo è stato notificato il 20 luglio 2023, il termine di sessanta giorni per il ricorso scade il 19 ottobre 2023.
Oltre al termine per il ricorso, sono sospesi per 31 giorni, tra gli altri, i seguenti termini:
– i trenta giorni per la costituzione in giudizio;
– i novanta giorni dalla notifica del ricorso utili per l’eventuale stipula della mediazione tributaria;
– i sei mesi dal deposito per appellare la sentenza (termine lungo), o i sessanta giorni nel caso di notifica della sentenza (termine breve);
– i sei mesi per la riassunzione in rinvio del processo;
– i sei mesi per la ripresa del processo sospeso oppure interrotto;
– i trenta giorni per reclamare i decreti presidenziali.

Se si tratta di termini a mesi, bisogna aggiungere al termine i 31 giorni della pausa estiva. Così, in caso di deposito della sentenza in data 15 luglio, il termine lungo di 6 mesi per l’appello scade il 15 febbraio 2024.
L’art. 1 della L. 742/69 prevede che se il termine inizia a decorrere durante il periodo di sospensione, l’inizio è differito al termine della sospensione stessa.
In sostanza se l’atto impositivo è notificato ad agosto, il termine di sessanta giorni per il ricorso scade il 30 ottobre 2023.

La sospensione opera anche per i termini a ritroso, quindi per il deposito dei documenti, delle memorie illustrative e delle memorie di replica, che ai sensi dell’art. 32 del DLgs. 546/92 deve avvenire, rispettivamente, entro venti, dieci o cinque giorni liberi prima dell’udienza.
In questa fattispecie la pausa estiva rappresenta una parentesi a ritroso da non contare, che di fatto comprime i termini a difesa. Bisogna poi considerare che, trattandosi di termini liberi, sono esclusi dal calcolo sia il giorno iniziale sia il giorno finale.
Pertanto, se l’udienza è stata fissata il 5 settembre, il termine ultimo per depositare le memorie è il 25 luglio mentre per i documenti è il 14 luglio.

Quest’anno ci sono due forme di sospensione ulteriori (circoscritte a determinati soggetti) che si intrecciano per forza di cose con la sospensione feriale.
Una prima sospensione è data dall’art. 1 comma 199 della L. 197/2022: per le impugnazioni anche incidentali delle sentenze e le riassunzioni in rinvio che scadono dal 1° gennaio 2023 al 31 ottobre 2023, i termini sono sospesi per 11 mesi. Secondo la prevalente giurisprudenza, tale sospensione assorbe la feriale dunque i 31 giorni non si cumulano agli 11 mesi (Cass. 6 febbraio 2023 n. 3598, Cass. 9 novembre 2022 n. 33069).

La sospensione degli 11 mesi opera solo per le liti in cui è parte l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli pendenti al 1° gennaio 2023, escluse le liti di rimborso o su dinieghi di agevolazione. Non c’è sospensione per le liti avverso i Comuni o avverso l’Agente della riscossione.
Tale sospensione riguarda solo le impugnazioni delle sentenze e le riassunzioni, non i termini per il ricorso e per i depositi.

ATTENZIONE ALL’INTRECCIO CON LA DEFINIZIONE DELLE LITI

Oltre a ciò, bisogna considerare l’art. 3 del DL 61/2023: per i soggetti che al 1° maggio 2023 avevano la residenza o la sede in uno dei territori individuati nell’allegato 1 al decreto, interessati dall’alluvione verificatasi nelle regioni Emilia-Romagna, Marche e Toscana, i termini processuali (relativi a qualsiasi atto e a qualsiasi deposito) sono sospesi dal 1° maggio al 31 luglio.
In sostanza, sembra potersi sostenere che per questi soggetti la sospensione termina a fine agosto, in quanto finita la sospensione ex DL 61/2023 comincia la sospensione feriale.

Prima rata IMU 2023 con ravvedimento

In caso di omesso o insufficiente versamento dell’IMU si applica una sanzione pari al 30% dell’importo non versato (ai sensi dell’art. 1 comma 774 della L. 160/2019, che rinvia all’art. 13 del DLgs. 471/97). Tale violazione riguarda i soli casi in cui sia stato correttamente assolto l’obbligo dichiarativo, laddove previsto (si veda “Dichiarazione IMU per gli anni 2021 e 2022 entro fine mese” del 21 giugno 2023). 
Nel caso in cui il versamento avvenga con un ritardo non superiore ai 90 giorni, la sanzione è ridotta al 15%, e ulteriormente ridotta a 1/15 per giorno di ritardo, se questo non supera i 14 giorni.

Il citato art. 13 fa riferimento a un’autonoma violazione in caso di mancato versamento di somme a titolo di acconto o conguaglio. Pertanto, poiché, a norma dell’art. 1 comma 762 della L. 160/2019, vi sono due distinti obblighi di versamento dell’IMU (per la prima e la seconda rata), se viene omesso il versamento di entrambe le rate si hanno due specifiche violazioni.

Analogo discorso vale per gli enti non commerciali di cui all’art. 1 comma 759 lett. g) della L. 160/2019, i quali versano l’IMU in tre rate, secondo quanto previsto dal successivo comma 763.
In caso di versamento tardivo, può trovare applicazione la disciplina del ravvedimento operoso ex art. 13 del DLgs. 472/97, con le correlate riduzioni delle sanzioni.
Per perfezionare il ravvedimento il contribuente deve versare, mediante F24, contestualmente all’importo a titolo di IMU, anche i relativi interessi giornalieri al tasso legale (fissato per il 2023 al 5% in ragione d’anno, ex DM 13 dicembre 2022), nonché la sanzione ridotta.

Interessi e sanzioni vanno integrati all’importo dovuto a titolo di IMU: tale somma va riportata in corrispondenza del codice tributo di riferimento dell’importo versato tardivamente (per i codici tributo si veda la ris. Agenzia delle Entrate 29 maggio 2020 n. 29). Nel modello F24 va inoltre indicato l’anno in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata.
Eccettuata la violazione di omessa dichiarazione, il ravvedimento può avvenire senza limiti temporali, fino al termine di accertamento.
Tuttavia, per l’IMU la possibilità di ravvedersi è preclusa dall’avvio di un controllo fiscale (l’art. 13 comma 1-ter del DLgs. 472/97 non contempla infatti i tributi locali).

Inoltre, per l’IMU non trova applicazione il ravvedimento parziale ex art. 13-bis del DLgs. 472/97, riservato ai soli tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate.
Per il ravvedimento oltre i 90 giorni, l’art. 13 del DLgs. 472/97 individua il termine entro il quale avviene la regolarizzazione (e dunque la misura della riduzione della sanzione) facendo riferimento:
– al termine di presentazione della dichiarazione, per i tributi con dichiarazione periodica;
– alla data dell’omissione o dell’errore, per gli altri tributi.
A tal proposito, si evidenzia che la dichiarazione IMU “ordinaria” (diversamente dalla dichiarazione IMU ENC) ha effetto anche per gli anni successivi a quello di presentazione, se non sono intervenute modifiche dei dati e degli elementi dichiarati da cui consegue un diverso ammontare dell’imposta dovuta.

Secondo il Ministero dell’Economia e delle finanze, anche l’IMU deve identificarsi come tributo per il quale è prevista una dichiarazione periodica, poiché il “procedimento” dichiarativo e quello di liquidazione dell’IMU sono disciplinati in modo analogo a quanto previsto per le imposte erariali sui redditi (così le circ. Min. Economia e finanze 13 luglio 1998 nn. 184/E e 29 aprile 2013 n. 1/DF). In senso antitetico, tuttavia, si pone la nota IFEL 19 gennaio 2015, che nega la natura periodica della dichiarazione IMU.Verifica per calcolare il termine da ravvedimento

Tenuto conto della diversità di posizioni in merito, è opportuno verificare eventuali indicazioni presenti nel regolamento o nel sito istituzionale del Comune destinatario del versamento, per determinare la misura della riduzione ex art. 13 del DLgs. 472/97 e perfezionare il ravvedimento. In caso di dubbio, pare prudenziale assumere il termine con cadenza cronologica anteriore.

In ogni caso, adottando la posizione ministeriale, la sanzione per il versamento tardivo dell’IMU è pari a:
– 1,5% dell’imposta non versata (15% × 1/10), ridotta a 1/15 per giorno di ritardo, se questo non è superiore a 14 giorni;
– 1,5% dell’imposta non versata (15% × 1/10), se il ritardo è compreso tra i 15 e i 30 giorni;
– 1,67% dell’imposta non versata (15% × 1/9), se il ritardo è inferiore a 90 giorni;
– 3,75% dell’imposta non versata (30% × 1/8), se la regolarizzazione avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione;
– 4,29% dell’imposta non versata (30% × 1/7), se la regolarizzazione avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione;
– 5% dell’imposta non versata (30% × 1/6), se la regolarizzazione avviene oltre il termine richiamato nell’ultimo punto.