L’Agenzia delle Entrate, nella giornata di ieri, ha ufficializzato la risposta con la quale ha sancito l’irrilevanza fiscale del differenziale tra le somme impiegate per acquisire il credito d’imposta derivante da bonus edilizi e il valore nominale degli stessi che verrà utilizzato in compensazione.
La questione ha tenuto banco per diverso tempo, dal momento che, come evidenzia la stessa Agenzia, il legislatore non ha disciplinato la materia, rinviando implicitamente ai principi generali del TUIR.
La risposta scaturisce da un’istanza di interpello presentata da uno studio associato e contiene diversi spunti d’interesse, a partire dall’affermazione in base alla quale l’assimilazione degli studi associati alle società semplici comporta che il reddito fiscale di tali soggetti sia costituito dalla sommatoria delle singole categorie di reddito indicate nel medesimo art. 6 del TUIR, identificate in ragione della loro fonte di produzione.
Da ciò deriva, secondo l’Agenzia delle Entrate, la necessità di verificare se il provento in esame rientri tra i redditi di capitale ovvero tra i redditi di lavoro autonomo ovvero tra i redditi diversi.
Occorre tuttavia considerare che l’esercizio in forma associata di arti e professioni costituisce ai sensi dell’art. 53 comma 1 del TUIR reddito di lavoro autonomo, per cui l’impostazione dell’Agenzia appare plausibile solo nella misura in cui l’investimento in questione non sia connesso all’attività professionale.
Se, nel caso di specie, lo studio avesse deciso di investire la liquidità generata dall’attività professionale, ci si sarebbe potuti limitare all’analisi dell’art. 53 del TUIR, concludendo, come ha concluso l’Agenzia, che il provento originato dall’acquisto dei crediti non può essere tassato in quanto la nozione di cui all’art. 54 comma 1-quater del TUIR di elementi immateriali comunque riferibili all’attività professionale, pur essendo ampia, non può includere i differenziali in questione.
Date le premesse, però, l’Agenzia si spinge ad analizzare la questione anche sotto il profilo della disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi, arrivando a conclusioni che dovrebbero assumere portata generale.
Con riferimento ai redditi di capitale, l’art. 44 comma 1 lett. h) del TUIR prevede che rientrino tra le fattispecie imponibili “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”.
Come affermato in passato dalla stessa Amministrazione finanziaria, detta disposizione ha una funzione di chiusura; pertanto “per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito”.
Rientrano in tale previsione:
– i proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’art. 820 c.c., vale a dire i proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che un terzo abbia di un capitale,
– tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che, pur se non riconducibile tra quelli precedentemente menzionati, presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
La richiamata lett. h) qualifica quindi come reddito di capitale ogni rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale, intendendosi per tale la semplice concessione temporanea alla controparte della disponibilità del capitale.
Sulla base di tale premesse, la risposta n. 472/2023 conclude però che “l’acquisto del credito d’imposta dietro corrispettivo non costituisce impiego di capitale”. Forse su questo punto l’Agenzia avrebbe potuto soffermarsi maggiormente, esplicitando un percorso argomentativo che potrebbe tornare utile in altre occasioni.
In effetti, che il capitale venga restituito mediante compensazione tributaria ovvero che ci sia un’alea in capo al cessionario relativa al plafond di tributi da compensare potrebbe supportare la ricostruzione proposta dall’Agenzia.
Anche per i redditi diversi, la risposta di ieri esclude che si possa applicare l’art. 67 comma 1 lett. c-quinquies) del TUIR, norma in base alla quale sono assoggettati a tassazione le plusvalenze ed altri proventi realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.