Dietrofront della Cassazione sull’incasso giuridico

Con la sentenza n. 16595 di ieri, la Cassazione ha affermato che la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, a un credito relativo a un reddito tassato per cassa (quali gli interessi maturati su finanziamenti erogati a una società partecipata), non comporta l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con conseguente esclusione anche della ritenuta prevista dall’art. 26 comma 5 del DPR 600/73.

Il principio appare innovativo, dal momento che, sino ad oggi, con riferimento a fattispecie analoghe (quale la rinuncia al TFM da parte di soci amministratori), i giudici di legittimità e l’Amministrazione finanziaria hanno sostenuto la tesi opposta.

Ad esempio, l’ordinanza n. 12222/2022 aveva affermato che la rinuncia, da parte del socio-amministratore, al TFM costituisce dal punto di vista giuridico un incasso, come tale suscettibile di essere tassato, in quanto:
– per un verso, presuppone la possibilità di disporre di una somma di denaro, costituisce espressione della volontà di patrimonializzare la società e, pertanto, presuppone il conseguimento del credito il cui importo, anche se non materialmente incassato, viene, comunque, “utilizzato”;
– per un altro verso, arricchisce un soggetto giuridico – la società – che appartiene al rinunciante in quanto socio della stessa, il quale altrimenti si gioverebbe, attraverso lo schermo della personalità giuridica e in violazione del principio della capacità contributiva, dell’incremento della partecipazione sociale.

Analogo orientamento è stato seguito dall’Amministrazione finanziaria (C.M. n. 73/94 e ris. Agenzia delle Entrate n. 124/2017), secondo la quale “la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti dei soci) presuppone l’avvenuto incasso giuridico del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta di imposta”.

Con un’impostazione che appare condivisibile, la sentenza n. 16595/2023 afferma che occorre distinguere tra la previgente disciplina e quella attuale.

Infatti, in base alla disciplina in vigore sino al periodo d’imposta in corso al 7 ottobre 2015 (2015, per i soggetti “solari”), la rinuncia, da parte del socio, al credito nei confronti della società partecipata non determinava, in capo a quest’ultima, l’insorgere di una sopravvenienza attiva rilevante ai fini della formazione del reddito imponibile (art. 88 comma 4 del TUIR).
Tale norma andava esaminata in correlazione con i previgenti artt. 94 comma 6 e 101 comma 7 del TUIR, per effetto dei quali l’ammontare relativo al credito oggetto della rinuncia non era ammesso in deduzione in capo al socio e si aggiungeva (totalmente) al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta nella società debitrice (cfr. anche le ris. Agenzia delle Entrate nn. 152/2002 e 41/2001).

A partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 7 ottobre 2015 (2016, per i soggetti “solari”), invece, la norma di riferimento è l’art. 88 comma 4-bis del TUIR, in base al quale “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale”. Il nuovo regime qualifica, quindi, come “apporto” la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito in capo al socio.

Specularmente, in capo al socio imprenditore che detiene le partecipazioni in regime di impresa, ai sensi degli artt. 94 comma 6 e 101 comma 7 del TUIR l’ammontare della rinuncia si aggiunge al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione “nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia”.

Alla luce del mutato quadro normativo, quindi, il valore fiscale del credito oggetto di rinuncia è stato posto in correlazione con la detassazione.
In altri termini, a seguito della rinuncia, il socio aumenta il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito e la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile solo nei limiti di detto valore.

Pertanto, la rinuncia di un credito avente valore fiscale pari a zero, come per i crediti legati ad un reddito tassato per cassa, non incrementa il valore fiscale della partecipazione, diversamente da quanto prospettato nel precedente regime, sia dalla Cassazione, sia dall’Agenzia. Di contro, detta rinuncia comporta la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata.

Le asimmetrie cui la regola dell’incasso giuridico intendeva porre rimedio sono state, pertanto, risolte dal legislatore mutando la formulazione dell’art. 88 del TUIR, lato società partecipata, e degli artt. 94 e 101 dello stesso TUIR, lato socio creditore.

La Suprema Corte si allinea così all’orientamento dottrinale pressoché unanime (cfr., per tutti, la norma di comportamento AIDC n. 201/2018).

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